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ROMA – Al via le Linee guida per la valutazione della plusdotazione in età evolutiva in Italia. Sono state approvate dal Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi (Cnop) lo scorso dicembre e a breve saranno pubblicate per essere divulgate a tutte le scuole di specializzazione. Sarà possibile trovarle anche sul sito dell’Ordine a disposizione di tutti i cittadini e non solo degli psicologi.
La richiesta è partita dall’associazione Aget e il Cnop ha accolto l’appello attivando un gruppo di lavoro formato da persone competenti, tra cui docenti universitari e genitori. Il risultato è un vademecum che tutti gli psicologi potranno seguire durante la valutazione della plusdotazione, per evitare che su questo tema ci sia ancora oggi un paese a più velocità.
“È una falsa idea che il bambino plusdotato sia avvantaggiato- precisa alla Dire Fulvio Giardina, presidente del Cnop- in realtà se non viene supportato è un soggetto svantaggiato. Noi lavoriamo sul benessere dei bambini per dare finalmente esito ai dettami costituzionali, che prevedono che tutti debbano essere alla pari nella frequentazione scolastica”.
Da qui la necessità di “uniformare le procedure investigative (come si osserva un bambino) e certificatorie– chiarisce il presidente degli psicologi- ribadendo nelle linee guida un concetto fondamentale: la plusdotazione deve essere estrapolata da qualunque altra problematica”.
Fino ad ora in Italia c’è “una sorta di macchia di leopardo- ricorda Giardina- tutto dipende molto dalle competenze del professionista che intercetta i bisogni della famiglia. Con le linee guida riteniamo di offrire un servizio utile alla collettività professionale e alla società intera, fornendo procedure condivise dalla comunità scientifica”.
Il documento struttura in un percorso definito la valutazione del bambino dalla sua presa in carico all’emissione. “Il principale problema per noi genitori- prosegue Valeria Fazi, presidente di Aget- è che ogni professionista utilizza un approccio valutativo basato sulle scale internazionali per la valutazione della plusdotazione, ma in alcuni casi l’output che producono è molto diverso da quello del collega che opera a qualche centinaio di chilometri di distanza”.
Una divergenza che ha creato non poca “confusione nelle scuole chiamate a porre in atto delle metodologie didattiche per i bambini plusdotati”. Con le linee guida per la valutazione della plusdotazione in età evolutiva si realizza, quindi, “un excursus sulla metodologia per standardizzare la valutazione in Italia- conferma la mamma- in modo che anche le scuole avranno un unico riferimento da poter prendere come master. D’altra parte, le famiglie potranno sapere se il professionista a cui si sono rivolte seguirà o meno le linee guida fornite dal proprio Consiglio nazionale. Un’informazione che dà sicurezza all’utente”.
La platea di bambini plusdotati si attesta sul 2% della popolazione scolastica, “ma se includiamo nel sottoinsieme dei plusdotati anche un insieme di bambini con alto potenziale cognitivo la percentuale sale all’8%. Sono dei bambini che pongono numerose domande, che vanno sempre più nel particolare. Vogliono capire come funziona il mondo che li circonda- precisa Fazi- e non si accontentano della risposta di routine normalmente data. A quella risposta segue sempre un ulteriore grado di approfondimento”.
In termini paradossali, continua Giardina, “se non vengono ben seguiti possono manifestare delle crisi attentive. Hanno un processo di apprendimento più celere e se non sono adeguatamente supportati possono vivere cali motivazionali e mettere in atto comportamenti a volte conflittuali verso gli altri”.
Un ruolo centrale nella loro individuazione lo hanno gli insegnanti, “non solo grazie ad una specifica formazione sul tema dell’evoluzione dei bambini, ma anche perché li osservano nel rapporto con la famiglia e con i propri compagni. Quello che salta agli occhi dell’insegnante- sottolinea la presidente dell’associazione di genitori- è uno sviluppo cognitivo veramente superiore all’età di riferimento e magari un aspetto emotivo che va di pari passo con l’età che hanno. L’emotività di un bambino di 6 anni messa a confronto con un aspetto cognitivo più avanzato evidenzia una discrasia. È importante- conclude Fazi- monitorare entrambi gli aspetti”.
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