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We World Index, sulla salute di donne e bambini monito all’Europa

Presentato oggi il rapporto sui diritti umani pubblicato dall'onlus We World

Pubblicato:03-05-2017 13:26
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:10

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ROMA – La regione subsahariana resta afflitta da forme gravi di esclusione sociale  ma anche in Europa, in  Paesi come Italia, Francia, Spagna o Germania, la situazione delle donne non migliora mentre peggiora addirittura quella di bambini e adolescenti: sono alcune delle tendenze che emergono in un rapporto sui diritti umani pubblicato oggi dall’onlus We World.

Nello studio sono stati presi in considerazione 34 indicatori per misurare la situazione di 170 Paesi. Centrale nell’analisi il nesso tra diritti dei minori e delle donne, da un lato, e sviluppo della società nel suo complesso, da un altro. Ai primi posti nella classifica globale figurano i Paesi del Nord Europa, guidati dalla Norvegia. L’Italia si piazza ventunesima. In coda diversi Paesi subsahariani, con ultima in graduatoria la Repubblica Centrafricana.


“La sua originalità è che si tratta di uno strumento che analizza il contesto e l’intreccio tra diritti dei bambini, delle bambine, degli adolescenti e donne, soggetti accomunati dall’essere i più vulnerabili e legati indissolubilmente” ha sottolineato Marco Chiesara, presidente dell’onlus autrice dello studio. “Promuovere l’inclusione multidimensionale degli under 18 ha effetti positivi non solo per loro ma anche per i loro Paesi”.


ZAMPA: ITALIA SOLO SUFFICIENTE, GRAVE IN UE

Prendiamo solo la sufficienza, ed è grave perché siamo uno dei Paesi fondatori dell’Europa, l’area del mondo dove la situazione è migliore”, ha detto oggi Sandra Zampa, vice-presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, intervenendo alla presentazione del rapporto We World Index sui diritti dei bambini e delle donne.

Tra il 2015 e il 2017 non siamo né peggiorati né migliorati”  ha evidenziato la deputata. “Siamo al 21° posto e allora la distanza tra noi e la Norvegia resta grandissima; se volessimo raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030 dovremmo fare uno sforzo doppio assumendo decisioni importanti”.

Secondo Zampa, però, la politica italiana si sta muovendo. Decisive in questa prospettiva le indagini condotte dalla Bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza già nel 2013. “Sulla povertà dei bambini è stato consegnato un documento, del quale sono stata relatrice, pieno di preoccupazione” sottolinea la vice-presidente della Commissione. “L’Italia è come minimo due Paesi, con differenze accentuate tra le diverse regioni; pesano poi il calo della spesa pubblica destinata all’educazione, un fenomeno del quale il parlamento si è occupato, e perfino la diminuzione dei tassi di iscrizione alle scuole primarie”.

Arrestare la deriva, allora, e poi invertire la tendenza. “Il We World Index ci dice che il trend in calo si è interrotto e soprattutto sono stati appena adottati provvedimenti in grado in prospettiva di permettere di ridurre le distanze” sottolinea Zampa. Convinta che tra le misure di rilievo figuri la delega sulla povertà, anche educativa, adottata dal governo con il sostegno delle fondazioni bancarie. A rilevarsi incisivo, aggiunge la vice-presidente della Commissione, potrebbe essere poi il decreto 0-6 anni: “Non è stato ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale ma i suoi effetti si faranno sentire nel tempo”.



WE WORLD: NODO E’ SALUTE MATERNO-INFANTILE

È la salute materno-infantile, con il nodo della malnutrizione, la dimensione più critica per l’Africa subsahariana: lo spiega alla DIRE Marco Chiesara, presidente di We World, intervistato a margine della presentazione di un rapporto della onlus dedicato ai diritti delle bambine, dei bambini e delle donne in 170 Paesi.

“Nell’Africa subsahariana sono concentrati i Paesi più in basso nella classifica pubblicata oggi” sottolinea Chiesara: “La dimensione più critica da tenere presente negli interventi di cooperazione è quella della salute materno-infantile, che va affrontata subito”.  Secondo il presidente di We World, “per contrastare il fenomeno bisogna intervenire entro il secondo anno altrimenti gli effetti diventano irreversibili”.

Nel rapporto i Paesi subsahariani occupano molti dei posti più bassi in graduatoria. Ultima la Repubblica Centrafricana, ostaggio delle violenze culminate nel 2013 nella caduta del presidente Francois Bozizé.

di Vincenzo Giardina

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