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Otto marzo e donne a metà. Il welfare non vi renderà felici

Ben vengano le misure di welfare, tutte, perché i diritti sono una trama necessaria di eguaglianza nelle fragilità, ma non risolveranno proprio tutto come ci si illude, perché la prima scelta inalienabile è chi essere

Pubblicato:03-03-2021 09:23
Ultimo aggiornamento:03-03-2021 09:23
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Ragazza donna sola strada
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ROMA – Tra insofferenza per le quote rose ghettizzanti e le questioni delle pari opportunità come decisive dell’agenda politica arriverà anche quest’8 marzo e sarà spaccato a metà. Il tema guida dovrà essere quello della leadership. Quindi basta pensare alle donne solo come caregiver, figure accudenti, deputate quasi per biologia alla cura e alla maestria domestica. Così si sente da più parti. Eppure con un po’ di onestà bisogna riconoscere che le donne divise lo sono, ma non tra di loro come vuole una certa vulgata sull’ antagonismo storico femminile. Peggio. Sono divise nel loro atavico sè e le contraddizioni stanno tutte ben in agguato dietro l’angolo. Vogliono sedersi al tavolo del potere, ma non vogliono mollare la regia dell’affaire domestico. Perché il giudizio altrui pesa ancora come un macigno. Molte ancora guardano con sospetto a chi non vuole figli perché ‘che donna sei?’, o a chi ne vuole uno, magari a tarda età, con tecnica annessa. Ma lo stesso sospetto è rivolto magari a ‘chi ne ha tanti’, perché che donna moderna sei? Insomma c’è un qualche modello di donna che ancora offusca la nostra autodeterminazione. Da dove viene? Dalla natura? dall’educazione? Da una società poco o zero liberale?

Vogliamo comandare nello spazio pubblico, ma poi siamo spaccate in mille parti perché c’è da prendere i figli a scuola, da accudire la nonna, da allattare a lungo, da fare quelle cose che gli uomini, anche i più emancipati, non sanno fare. Insomma è faticoso mollare. Perchè di nuovo qualcuno giudicherà non quel che fai, ma quel che hai scelto di non fare. Eccole quindi le donne che arrivano a fare tutto (ma chi ve l’ha detto?), quest’altro bello stereotipo del multitasking che è solo uno strangolamento di vita vissuta a pieno, fatto di corse, di mezze scelte, di insoddisfazioni profonde, per non sentirsi né regine del focolare, né regine del Parlamento. La storia della qualità e della quantità va bene se sei ricco e hai tre tate e dovrai comunque accettare che non sarai presente come vorresti nel lavoro di cura. Non raccontiamo bugie. Se lavori 14 ore al giorno fuori casa, non avrai tempo di preparare ciambelloni e non ci sarai all’uscita di scuola. Se sei un capo e hai una riunione fondamentale con il tuo team dovrai farla, pioggia, vento o mal di denti della nonna. Insomma smettiamola di pensare che si concilia e non curiamoci del giudizio: ognuno scelga chi essere con autonomia, senza credere alla fake del multitasking. La verità è che si rinuncia, perché scegliere, i greci lo sapevano bene, è ricusare qualcosa. Perdersi qualche pezzo. E avere il coraggio di essere una, non centomila. Non importa se sei Rossella o Mario. Le pari opportunità dovrebbero essere soprattutto queste. E chissenefrega del giudizio degli altri, anzi delle altre.

Ben vengano le misure di welfare, tutte, perché i diritti sono una trama necessaria di eguaglianza nelle fragilità, ma non risolveranno proprio tutto come ci si illude, perché la prima scelta inalienabile è chi essere. E chi vuole essere tutto non è niente. E soprattutto non sarà mai felice.


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