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ROMA – Velocità, forma, rumore, guerra, festa. Can-can, bum bum bum, frrrrrrrrrr, taratatatatata. Eccola finalmente ‘Il tempo del Futurismo‘, la mostra più attesa dell’anno, la più controversa, la più discussa. Aprirà al pubblico da domani al 25 febbraio alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, “il luogo ideale” per una esposizione “tutta fatta in casa”. Cioè realizzata dal ministero della Cultura, che dai tempi dell’ex ministro Gennaro Sangiuliano l’ha voluta e sostenuta.
Un milione e mezzo di euro oltre agli sponsor – Autostrade per l’Italia e Enel, Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane e Unipol – per mettere insieme 350 opere fra quadri, sculture, progetti, disegni, oggetti d’arredo, film, oltre a un centinaio fra libri e manifesti e due opere site specific di Magister art e Lorenzo Marini. Dovevano essere il doppio, all’inizio, così come dovevano essere molti di più gli esperti ad affiancare il curatore Gabriele Simongini. “Poi si sono manifestate divergenze”, ha detto lui oggi. Che nel giorno dell’ottantesimo anniversario della morte di Marinetti, è un po’ rinato. “Mi dicevano che non ce l’avrei fatta, e invece i futuristi hanno ancora ragione: con la forza dell’utopia e del sogno le cose importanti si possono fare anche quando tutti ti remano contro”.
Tant’è, oggi anche le polemiche hanno un sapore diverso. Futurista, per l’esattezza. “Marinetti si sarebbe divertito tantissimo, avrebbe ringraziato tutti per la pubblicità gratuita”, dice ancora il curatore, che chiede anche di non mettere “etichette politiche” al Futurismo. “Deve essere un orgoglio di tutti gli italiani”. Rivendica la qualità come filo rosso che ha segnato la selezione delle opere esposte, di cui 102 provenienti dalla stessa Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea. “Tutto è stato scelto per dimostrare che la velocità era al centro del nuovo mondo e i nuovi canoni di bellezza non erano più legati al classicismo, ma alle macchine e agli aerei”. E le macchine e gli aerei e gli idrovolanti trovano spazio nei quattromila metri quadrati che la Gnam ha messo a disposizione della mostra, esattamente metà degli ambienti complessivi del museo di via delle Belle arti. Prototipi di motociclette, di biciclette a motore, di auto che sembrano siluri. Fiammanti. Lunari.
Circondate da opere pittoriche inconfondibili. Espansione dinamica+velocità, Ponte della velocità, Linea di velocità, solo per citare Giacomo Balla, di cui il ministro Giuli annuncia “a breve l’acquisto della casa di via Oslavia, compresi gli arredi”.
E poi L’automa quotidiano di Enrico Prampolini, Il decollo di Guido Strazza, Espansione di luce + movimento di Roberto Marcello Baldessari in prestito dalla Banca d’Italia e Dinamismo meccanico e animale di Gino Galli proveniente dalla Fondazione Brescia Musei, da dove provengono anche due opere di Julius Evola: Fucina, studio di rumori e Five o’clock tea. “Era un allievo di Giacomo Balla e ha avuto un periodo molto limitato nel Futurismo e lo ha fatto poi transitare nel Dadaismo”, dice Simongini.
Dal Museum of modern art di New York arriva la Lampada ad arco di Giacomo Balla, omaggio al manifesto di Marinetti ‘Uccidiamo il chiaro di luna‘, tra le opere simbolo della mostra insieme al Sole di Pellizza da Volpedo. La prima del 1911 e la seconda del 1904, le due opere sono esposte nella stessa sala, fianco a fianco, all’inizio del percorso. Il loro dialogo racconta il passaggio tra un’idea di natura strettamente legata all’umano, così come di un’Italia ancora rurale e agricola, e l’avvento dell’elettrificazione che esprime la ‘Modernolatria’ di cui parlava Boccioni e che ha influenzato tutto il Futurismo.
“Il tempo del Futurismo è il tempo di oggi”, dice il direttore generale Musei del ministero della Cultura, Massimo Osanna, che con le sue 102 opere esposte ha indicato la Gnam come “luogo ideale” per una mostra che negli auspici del presidente della commissione Cultura della Camera, Federico Mollicone, potrebbe diventare “permanente” e punto di riferimento per amanti e studiosi dell’avanguardia futurista. “Il Mic è perfettamente in grado di organizzare una mostra grandiosa- aggiunge la direttrice della Gnam, Cristina Mazzantini– è fatta in casa con un lavoro di squadra e un allestimento complicatissimo che coinvolge 26 sale della Galleria. È stato un grandissimo sforzo che renderà memorabile questa mostra”. Davanti alla nipote dell’autore del Manifesto, Francesca Barbi Marinetti, il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, parla di una esposizione “al di sopra delle aspettative sostenuta ardentemente dal mio predecessore, Gennaro Sangiuliano“. E cita Boccioni, tra l’altro al centro di una nuova querelle intorno alla sua ‘Forme uniche della continuità dello spazio’. “Questa volta non si può dire che non ci abbiate visto arrivare. Preceduti da una sana rissa in galleria”, sorride il ministro riferendosi alle polemiche che per più di qualche ora hanno quasi fatto tremare il Collegio romano. Ma quello è il passato, oggi si guarda avanti. Futurismo docet.
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