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Amnesty, in Iraq rappresaglie nelle zone liberate da Isis

Arresti e violenze sui civili da parte di alcune milizie tribali

Pubblicato:02-11-2016 17:52
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:14

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isisROMA – Negli ultimi giorni “miliziani della tribù Sab’awi hanno arrestato illegalmente, umiliato in pubblico e torturato uomini e ragazzi nei villaggi a sud-est di Mosul strappati al gruppo armato auto-denominato Stato islamico”. Lo riferisce in una nota Amnesty International, sulla base dei resoconti resi agli operatori in Iraq da funzionari locali e testimoni oculari. “Abbiamo chiare prove che la milizia della tribù Sab’awi abbia commesso crimini di diritto internazionale tra cui maltrattamenti e torture ai danni degli abitanti dei villaggi della zona del Qati’ al Sab’awiin, per vendicare crimini commessi dallo Stato islamico”, ha dichiarato Lynn Maalouf, vicedirettrice per le ricerche dell’ufficio regionale di Amnesty International di Beirut.

Secondo quanto riferito, tali vittime hanno subito “percosse con sbarre di metallo, sono state sottoposte a scariche elettriche, legate al cofano delle automobili ed esibite lungo le strade, e persino chiuse in gabbia”, si legge ancora nella nota. “Non c’è dubbio che i membri dello Stato islamico sospettati di aver commesso azioni criminali debbano essere chiamati a risponderne, attraverso processi equi. Ma radunare gli abitanti di un villaggio e costringerli a subire umiliazioni o violazioni dei diritti umani inclusa la tortura non è assolutamente il modo per dare giustizia, verità e riparazione alle vittime dei crimini dello Stato islamico”, ha commentato ancora Maalouf.

Le violazioni sono avvenute nei villaggi di al-Makuk, Tal Al-Sha’eir e Douizat Al-Sufla, sulla riva sud-orientale del fiume Tigri in una zona conosciuta come Qati’ al-Sab’awiin (Settore della tribù Sab’awi). I testimoni hanno raccontato che i miliziani della Mobilitazione tribale Sab’awi sono entrati nei villaggi e hanno arrestato uomini e ragazzi senza alcun mandato. “Il villaggio di Al-Makuk è stato ripreso dalle forze irachene il 20 ottobre. I combattenti della tribù Sab’awi sono entrati prima delle forze regolari ma dopo che lo Stato islamico si era ritirato. Dunque, non vi è stato alcuno scontro armato. I miliziani- prosegue il comunicato- che peraltro condividono coi residenti la medesima appartenenza tribale, hanno immediatamente iniziato a radunare uomini e ragazzi”. Una delle persone presenti ha raccontato che sei miliziani, dopo averlo accusato di appartenere a Daesh, lo hanno trascinato un uomo in strada e lo hanno picchiato a sangue davanti alla moglie e ai figli piccoli: “L’hanno preso a calci e pugni, colpito tre volte con un congegno elettrico e col calcio dei Kalashnikov, con cavi metallici e con un tubo di gomma per innaffiare” è quanto ha riferito il testimone agli operatori di Amnesty. “Dopo il pestaggio l’uomo non riusciva a stare in piedi”, ha concluso.


“Non hanno alcun comandante. Ogni miliziano ha la sua vendetta personale da eseguire. Legavano le persone al cofano delle automobili e percorrevano le vie del villaggio urlando frasi come ‘Venite a vedere i daeshi che hanno fatto la spia su di me e su mio padre’” ha detto un altro residente. Tutti gli intervistati hanno poi confermato un altro episodio molto grave: “sette ragazzi– è il racconto concordante raccolto da Amnesty- tra i 16 e i 25 anni, chiusi in gabbie per i polli posizionate al centro di un incrocio stradale. A uno a uno, venivano fatti uscire dalle gabbie e insultati con frasi quali ‘Chi sei tu? Dì che sei un animale, dì che sei un somaro’ (‘somaro’ nel mondo arabo è un insulto molto pesante, ndr) prima di essere picchiati e fatti entrare a forza nelle automobili”. Infine, molti uomini sono stati arrestati e portati via con le mani legate poiché sospettati di aver collaborato coi jihadisti: “Tutti i detenuti devono essere trattati con umanità e devono essere protetti dai maltrattamenti e dalla tortura. Arresti e interrogatori devono essere eseguiti solo da personale incaricato per legge”, ha tenuto a sottolinere Maalouf.

Altre violenze sarebbero state commesse anche da un’altra milizia tribale, la Firsan Jbour, nella zona di Al-Shora, a sud di Mosul. “Testimoni oculari hanno raccontato che il 26 ottobre, mentre erano a bordo di veicoli militari iracheni che stavano trasferendo civili in località più sicure, sono stati accusati a un posto di blocco di essere combattenti dello Stato islamico, presi a sputi e sassate e minacciati di morte. Da tempo le autorità irachene non fermano le azioni di rappresaglia né indagano sui crimini commessi dalle milizie, che stanno prendendo parte anche all’offensiva su Mosul. In questo modo, le autorità hanno alimentato una pericolosa cultura dell’impunità in cui i responsabili sentono di aver le mani libere per compiere altri crimini”, è il monito finale di Lynn Maalouf da Beirut.

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