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LAMPEDUSA – E il cuore ha ricominciato a battere. Kbra sembrava morta, era già nel sacco. L’accertamento del decesso toccava a Pietro Bartolo, il medico dei migranti. “Avrà avuto vent’anni, era bellissima. In quel momento era una delle 368 vittime”. E invece no, perché lui ha preso il polso e ha sentito qualcosa. “Un battito al minuto, ma c’era”. Un mese di coma, poi una vita nuova in nord Europa. Ma oggi Kbra è a Lampedusa. Come ogni anno, torna sull’isola siciliana con gli altri sopravvissuti di quel naufragio del 3 ottobre 2013. Accanto a lei, Bartolo racconta la sua storia davanti alle studentesse e agli studenti delle scuole europee, italiane e romane. “Oggi i protagonisti siete voi- dice loro il medico- Sono lampedusano, sono il medico dei migranti fin dal primo sbarco del 1991. Ho visto passare più di 350mila persone che ho curato, qualche volta salvato”.
Chi è riuscito a toccare terra adesso vive in Europa, tanti parlano perfettamente il tedesco, altri hanno scelto la Svezia o l’Olanda. “Siamo tutti cittadini europei, ma siamo partiti dai nostri Paesi che eravamo anche più piccoli della vostra età- hanno raccontato alle scolaresche- Immaginate un ragazzino di 15 anni che affronta quel viaggio, non è semplice. Poi ci riesci, arrivi, ma trovi la gente che ti guarda e si gira dall’altra parte. Vi chiedo solo di trattare queste persone in modo umano, come se foste voi, perché siamo uguali, ridiamo, piangiamo”. E c’è chi chiede se fare quel viaggio sia valsa la pena. “Siamo costretti a partire. Morire nel deserto o morire in mare per me era uguale, dovevo provare a vivere in tranquillità”.
Coinvolti, curiosi di conoscere vite così diverse dalle loro, i ragazze e le ragazze hanno chiesto di raccontare le sensazioni e le emozioni provate in quei momenti tremendi.
“Vogliamo portare il vostro messaggio fuori da qui, nelle nostre classi, ai nostri genitori, vogliamo spiegare loro che cosa si prova a lasciare casa e affrontare quel viaggio”, ha detto Sara della scuola media romana Poggiali Spizzichino. La risposta che ottiene è in perfetto tedesco: “Ho 28 anni- dice un ragazzo eritreo sopravvissuto al 3 ottobre- è fondamentale essere qui. Bisogna pensare a questo non una volta l’anno, ma ogni giorno, ogni mese. Bisogna continuare a lottare. È fondamentale cooperare. Voi siete la nuova generazione, abbiamo il compito di cambiare questo mondo tutti insieme. Ricordate quello che succede è fondamentale perché tutto ciò non si ripeta in futuro”.
Tra loro c’è un papà che ha perso 4 figli piccoli quel giorno. Erano tutti sullo stesso barcone, ma non è riuscito a salvarli. I fratellini nati dopo chiedono di andare a cercare i loro fratelli. “Identificare i corpi e restituirli alle loro famiglie è fondamentale”, spiega Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre. Accanto a lui c’è Hewan, una mamma che ha perso suo figlio quel 3 ottobre sulle coste di Lampedusa. È tornata qui per fare il tampone e tramite il suo dna cercare quello di suo figlio tra quei 368 corpi. “Riaverlo vuol dire trovare pace”, dice. E chiede alle istituzioni di aiutare le famiglie di tutte le vittime a intraprendere questo percorso. Tante volte scattano gli applausi per queste storie che sono drammi, ma che finalmente hanno volti e voci. “Questo è il momento più bello di tutti- dice Tareke Brhane ai ragazzi- Siete voi e loro. Lavoriamo per creare un dialogo che spesso non c’è, per loro è un momento di dolore, ma vogliono condividerlo”.
Domani, le scuole parteciperanno alla commemorazione del 3 ottobre. “Per il secondo anno Roma Capitale ha scelto di partecipare”, ha detto Miguel Gotor, assessore capitolino alla Cultura che insieme all’assessora alla Scuola, formazione e lavoro, Claudia Pratelli, accompagna i 50 studenti di terza media dei due istituti capitolini, il Poggiali Spizzichino e l’Octavia. “Lampedusa- ha continuato infine Gotor- è forse la principale porta d’Europa, quel viaggio della speranza si è trasformato in una ecatombe. Secondo le stime di Save the Children negli ultimi dieci anni nel Mediterraneo ci sono stati oltre 30mila morti, ma sono stime al ribasso. Uomini e donne che si sono ritrovati in fondo a un mare che non è più di scambio e accoglienza, ma troppo spesso si trasforma in un cimitero senza croci. Tenere vivo il ricordo di quello che è stato è fondamentale e quando torneremo a casa dovremo diffondere i valori dell’accoglienza, della integrazione e della solidarietà, che sono i valori europei”.
“Quello che succede in queste ore- ha detto Pratelli- dimostra la capacità di queste occasioni di consentire ai ragazzi e alle ragazze, e anche agli adulti, di arrivare a un livello di comprensione del fenomeno migratorio molto più profondo. Sono molto orgogliosa che Roma Capitale sia qui, che ci sia una larga delegazione di consigliere e consiglieri, assessore e assessori dei municipi. La prossimità di parlare con i familiari delle vittime e confrontarsi con i rappresentanti delle Ong ci restituisce una realtà che troppo spesso arriva mediata dalla narrazione che talvolta è distorta. La scuola non è un luogo di addestramento, ma di creazione di pensiero critico e consapevolezza. Questi momenti sono preziosissimi”.
“La scuola è la chiave per garantire a tutti l’attuazione dell’articolo 3 della Costituzione che impone di rimuovere gli ostacoli alla libera formazione delle persone. Per questo da qui, da Lampedusa, dalla commemorazione di quel 3 ottobre 2013 in cui hanno perso la vita 368 migranti, tanti giovanissimi, voglio lanciare un appello: è responsabilità dello Stato trovare le risposte anche in alleanza con gli enti locali perché vengano garantiti a tutte e tutti i diritti fondamentali come quello all’istruzione”. Così Claudia Pratelli, assessora di Roma Capitale alla Scuola, intervenuta da Lampedusa dove è in corso la commemorazione del naufragio del 3 ottobre 2013.
Pratelli, insieme all’assessore capitolino alla Cultura, Miguel Gotor, ha accompagnato 50 tra studenti e studentesse di due scuole romane che domani assisteranno alla cerimonia. “In Italia ci sono 914mila denti considerati non italiani, ma il 65 per cento è nato in Italia. La metà di questi 914mila viene bocciata almeno una volta e uno su tre non finisce la scuola secondaria. Questi dati a Roma sono giganteschi: 368mila studentesse e studenti e di questi 42mila non hanno la cittadinanza italiana. Come si fa a garantire loro le stesse opportunità? È proprio la scuola a farlo- ha detto- se riesce a prendersi cura soprattutto di chi ne ha bisogno. A Roma c’è un progetto che si chiama Rimuovere gli ostacoli. Roma Capitale ha messo a disposizione oltre mezzo milione di euro per la mediazione culturale, i percorsi di accoglienza e gli sportelli di ascolto. Ma questo- ha sottolineato- dovrebbe essere un dovere dello Stato. Noi ci assumiamo la responsabilità di farlo”.
Pratelli ha poi ricordato un progetto che permette di “ampliare la possibilità di iscriversi ai nidi di Roma anche a chi non ha la residenza. E abbiamo scelto di attivare il programma Scuole aperte il pomeriggio,, la sera e i weekend,, stanziando quasi due milioni di euro. È un modo per combattere la povertà educativa. È inaccettabile- ha detto infine- che nel nostro Paese chi è nato qui non sia italiano. Per due anni abbiamo provato a lavorare a un protocollo sull’inclusione, ma è un percorso molto complicato, nonostante sia un diritto costituzionale fondamentale. Per questo- ha concluso- faccio appello al ministero perchénon ci sia più un ragazzo che non trovi un posto in classe”.
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