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“Bper non compra i pc”, si apre scontro sullo smart working

Nell'istituto bancario è andato a vuoto il tentativo di un accordo sindacale sullo smart workin. E ora l'azienda ha detto 'no' a fornire pc ai dipendenti

Pubblicato:02-10-2020 15:24
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:59

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BOLOGNA – Si apre lo scontro sullo smart working in Bper. L’istituto di credito, accusa la Fisac-Cgil, “ha dimostrato, come già in passato, che allo smart working non è interessato e di aver vissuto l’esperienza di questi mesi come un’imposizione”. Con la banca, per ora, è andato a vuoto il tentativo di un accordo sindacale e Bper “ha ‘tirato dritto’: ha pubblicato la circolare indicando che chi ha il pc aziendale (molto pochi) potrà continuare a fare lo smart working, sempre se il proprio responsabile sarà d’accordo; tutti gli altri torneranno in banca, tutti i giorni e tutto il giorno“, fa sapere la Fisac. Il sindacato però non demorde e, da un lato, smonta le ragioni portate al tavolo da Bper e, dall’altro, chiede che lo smart working sia normato “per bene” e dunque alla banca “di ripensarci: di dimostrare con i fatti l’attenzione ai propri collaboratori riprendendo la trattativa su presupposti diversi”.

La spaccatura è di qualche giorno fa: il 15 settembre Bper ha proposto un accordo sul lavoro da casa per andare oltre il termine della fase emergenziale (15 ottobre) che ha consentito di usare questa modalità con semplificazioni normative e deroghe contrattuali. Ed è servito, annota la Fisac: “E’ stato uno strumento che ha contribuito molto a limitare gli spostamenti durante il lockdown e a tutelare salute e sicurezza dei lavoratori”. Ma Bper si è presentata al tavolo con “l’iniziale indisponibilità di forme di hub working, senza, quindi, possibilità di lavorare più vicini a casa”, e “l’indisponibilità nell’immediato, a differenza di quanto previsto dal contratto collettivo nazionale, a dotare della strumentazione necessaria al lavoro agile coloro che ne facessero richiesta”, segnalano in coro Fabi, Fisac, First-Cisl, Uilca-Uil e Unisin. Riassumendo, dice la Fisac: Bper “ritiene l’acquisto di qualche pc un costo attualmente non previsto né sostenibile e non un investimento” e che “sia meglio tenere le persone concentrate in pochi posti, sempre a vista, piuttosto che dar loro la possibilità di lavorare anche più vicino a casa, in un luogo più sicuro e con meno persone, limitando gli spostamenti e l’utilizzo di mezzi pubblici”. Tant’è che è uscita una circolare che determina, “di fatto, che chi volesse proseguire nello smart working potrebbe farlo solo con le attuali dotazioni aziendali”.

Eppure per Fabi, Fisac, First, Uilca e Unisin ci sarebbe da discutere e accordarsi su orari, disconnessione, produttività, sicurezza informatica (“Chi è responsabile in caso di attacco hacker alla propria linea internet per carpire dati sensibili?”), privacy e anche infortuni sul lavoro (“Cosa succede se a casa il lavoratore subisce un infortunio durante la sua prestazione lavorativa?” e “chi verifica che sia in regola con le leggi?”).


In generale, per i sindacati è “singolare ed inaccettabile” che Bper sia “indisponibile” a un accordo nel solco del contratto nazionale “per mere ragioni economiche”. Inoltre, siccome dice che “non ha a budget 2020 ulteriore spesa per l’acquisto di pc portatili da destinare in comodato d’uso ai colleghi che oggi non hanno una dotazione aziendale”, è “preoccupante che un gruppo oggi quinto in Italia e con un risultato di bilancio semestrale superiore ai 100 milioni di euro, non sia in grado di destinare la somma necessaria per mettere in condizione i colleghi di operare tramite il lavoro agile”.

Lo smart working, concludono i sindacati, “nasconde molte insidie” normative e su salute e sicurezza, “davvero Bper vuole risparmiare sulle spalle dei colleghi e tentare (invano) di peggiorare le condizioni del contratto nazionale?”.

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