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Al MacFrut di Rimini il Brasile mostra i suoi frutti sostenibili e unici

L'ambasciata in Italia ha deciso di lanciare una serie di opuscoli informativi sui frutti brasiliani in occasione della partecipazione a MacFrut

Pubblicato:02-09-2021 19:08
Ultimo aggiornamento:02-09-2021 19:08
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frutti brasile
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ROMA – Jabuticaba, Cupuacu, Acaí, Maracujá. Nomi poco conosciuti, forse esotici, che si portano dietro le storie fatte di “sostenibilità e qualità” dei frutti con indicazione geografica prodotti in Brasile. Il gigante sudamericano, oltre otto milioni di chilometri quadrati dall’Amazzonia all’Oceano Atlantico fino alle cascate di Iguacu, è il terzo produttore al mondo di frutta ma “il 23esimo quando si tratta di esportare questi prodotti della terra all’estero”. Per questo motivo l’ambasciata del Paese in Italia ha deciso di lanciare una serie di opuscoli informativi sui frutti locali in occasione della partecipazione a MacFrut, una fiera del settore ortofrutticolo che si terrà a Rimini, in Emilia-Romagna, dal 7 al 9 settembre. Con l’agenzia Dire parla dell’iniziativa Felipe Neves, responsabile dell’ufficio agrobusiness della sede diplomatica.

“Abbiamo lavorato insieme al ministero dell’Agricoltura, all’azienda statale Embrapa e al Servico Brasileiro de Apoio às Micro e Pequenas Empresas, il Sebrae, per realizzare degli opuscoli che possano dare maggiore visibilità a frutti brasiliani con indicazione geografica”, ribadisce l’esperto. “Al momento i nostri prodotti vengono consumati per lo più all’interno dei confini nazionali, ma la nostra prospettiva è quella di farli conoscere il più possibile all’estero, anche perché ce ne sono diversi che vengono coltivati praticamente solo da noi e che già portano il marchio Brasile nel mondo“.

E’ il caso ad esempio, spiega Neves, “del cupuacu, un frutto amazzonico che in Brasile viene impiegato per fare creme o spremute, o dell’acaí, con il quale da noi si realizza una sorta di gelato”.


frutti brasile

La chiave di volta per far conoscere questi prodotti non è solo la golosità o i suggestivi scenari di provenienza, specifica però il diplomatico: “Questi frutti sono certificati con un’indicazione geografica che ne aggiunge valore alla luce del vincolo col territorio, l’unicità della coltura e la sostenibilità della produzione”. Tra i figli della terra brasiiliana che hanno ottenuto questa attestazione c’è anche la guaranà, nota anche in Europa soprattutto per le bevande energetiche che si realizzano a partire da un suo estratto. “E’ stato il primo frutto coltivato in una Terra Indigena, quella degli Andirá-Marau, a raggiungere questa certificazione”, sottolinea il diplomatico. Neves ripercorre poi la storia dell’indicazione geografica partendo dal vino, aprendo così un capitolo fatto di legami profondi con l’Italia e di grandi potenzialità. “E’ stato proprio il vino il primo prodotto a cui è stata applicata questa certificazione nel mondo e il Brasile non ha fatto eccezione. La prima area a raggiungere questo traguardo è stata la Vale dos Vinhedos, nello Stato meridionale di Rio grande do Sul”, ricorda il diplomatico, che spiega: “A cominciare la coltivazione è stata una nutrita comunità di discendenti di migranti italiani, a cavallo tra il 19 e il 20esimo secolo”. Ora la produzione “si è diversificata molto, e si realizza un vino spumante che inizia a piacere ai brasiliani, che già conoscevano gli analoghi più famosi francesi o italiani”, afferma Neves Per il diplomatico gli orizzonti sono di crescita anche per quanto riguarda altre tipologie, come i vini rossi, che pure si producono nella Vale dos Vinhedos e altrove.

“C’è ancora molto da fare ma i cittadini brasiliani iniziano a sceglierli a volte anche preferendoli ai cugini argentini, cileni e europei, più famosi”, evidenzia. A rendere meno appetibili i prodotti brasiliani agli occhi di un pubblico europeo potrebbero essere le lunghe distanze da percorrere per trasportarli, oggetto di preoccupazione in una fase caratterizzata da crescente sensibilità rispetto ai cambiamenti climatici e da conseguente ascesa delle logiche ‘a chilometro zero’ e ‘buy local’. Il diplomatico premette che le osservazioni in queste senso “sono pienamente legittime”, ma che “è importante evidenziare alcuni aspetti che a volte non sono considerati”. La prossimità geografica, avverte infatti il Risponsabile Agrobusiness, “non è garanzia di sostenibilità: potremmo prendere un frutto che cresce a due chilometri dalla nostra casa e alimentare, senza saperlo, una situazione segnata dal caporalato e dallo sfruttamento, come già succede”. Neves mette anche in guardia contro i rischi di quello che definisce “sovranismo alimentare” e invita a guardare la questione “anche con gli occhi della solidarietà e dello sviluppo”. Secondo il diplomatico infatti, “non bisogna avere pregiudizi e bisogna ricordare che diversi prodotti, realizzati in modo sostenibile, sono una fonte di reddito ed emancipazione per tante comunità locali”.

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