NEWS:

Tokyo 2020, caso Tsimanouskaya: due paesi offrono asilo all’atleta bielorussa obbligata al rimpatrio

La velocista di 24 anni ieri ha infatti denunciato di essere stata prelevata dall'hotel e portata in aeroporto dal suo staff

Pubblicato:02-08-2021 11:42
Ultimo aggiornamento:06-08-2021 13:51

Krystsina Tsymanouskay-twitter_min
FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

foto via Twitter

ROMA –  Il sogno olimpico dell’atleta bielorussa Krystsina Tsimanouskaya si è concluso, ma il suo nome resterà nella storia per vicende politiche più che sportive: la velocista di 24 anni ieri ha infatti denunciato di essere stata prelevata dall’hotel e portata in aeroporto dal suo staff per essere rimpatriata dal Giappone forzatamente, dopo aver contestato le scelte del Comitato olimpico bielorusso e quindi, indirettamente, anche il governo di Aleksandr Lukashenko. Stamani, come riferisce la testata russa ‘Kiky’, anche il marito dell’atleta avrebbe lasciato la Bielorussia per riparare a Kiev, in Ucraina. A riferire la notizia è il cofondatore della testata sportiva Sports.Ru, Dzmitrij Navosha, il quale ha chiarito che la coppia non ha figli.

La vicenda di Tsimanouskaya sta aprendo un caso internazionale: la donna, una volta all’aeroporto Haneda di Tokyo, ha riferito di aver chiesto e ottenuto l’aiuto della polizia giapponese e del Comitato internazionale olimpico (Cio) per evitare il rimpatrio e ottenere protezione. Al momento il governo della Polonia e della Repubblica Ceca le hanno già offerto lo status di rifugiata politica. Il portavoce del Cio, Mark Adams, in conferenza stampa ha confermato che il caso di Tsimanouskaya viene seguito con attenzione da vari organismi internazionali tra cui anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). “Ci ha confermato che è al sicuro e sta bene” ha detto Adams, aggiungendo: “Stamani abbiamo nuovamente parlato con lei per definire i prossimi passi. Dobbiamo ascoltarla, capire cosa vuole fare e sostenerla nella sua decisione”. Secondo Adams, il Cio ha già chiesto al Comitato olimpico bielorusso di chiarire la vicenda.

Stando alle prime ricostruzioni di stampa, Tsimanouskaya in un video condiviso su Telegram si è lamentata perché sarebbe stata inserita a sua insaputa in due competizioni per le quali non si era preparata: la 200 metri femminile di venerdì al posto della 100 metri che avrebbe dovuto sostenere oggi e poi alla 4×400 metri di giovedì. Dopo aver contestato scarsa professionalità e capacità organizzativa dei suoi allenatori, la velocista ha detto che il suo staff ha rimosso il suo nome dalle gare e le ha chiesto di fare le valigie. Da qui la decisione di denunciare la sua situazione per chiedere aiuto. Sui propri profili social, il Comitato olimpico bielorusso riferisce che il ritiro di Tsimanouskaya si è reso necessario per “le condizioni fisiche e psicologiche” dell’atleta. I responsabili hanno assicurato di “seguire da vicino la situazione” e che, in accordo con la Carta olimpica, la Bielorussia si impegna a “proteggere gli interessi di tutti gli atleti da qualsiasi forma di discriminazione”.


In Bielorussia da un anno organizzazioni per i diritti umani denunciano arresti arbitrari e persecuzioni a danno di chi contesta le autorità di governo, in particolare da quando, il 9 agosto dello scorso anno, è iniziata la contestazione contro la sesta rielezione di Lukashenko. Secondo la Belarusian Sport Solidarity Foundation (Bssf), che si batte per la liberazione degli sportivi incarcerati o che hanno perso il loro lavoro perché dissidenti, Tsimanouskaya avrebbe intenzione di chiedere asilo all’Austria e alla Germania. La Bssf sul suo sito web riporta i casi di almeno nove atleti o allenatori che hanno subito conseguenze per aver preso posizione contro le autorità di Minsk: tra questi Yelena Leuchanka, plurimedagliata cestista che con la nazionale di basket ha vinto un bronzo ai campionati europei, che ha scontato 15 giorni di reclusione per aver partecipato alle proteste contro la rielezione del capo dello Stato, e Andrey Kravchenko, atleta medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Pechino del 2008, che ha perso il lavoro per aver firmato una lettera aperta in cui si denunciavano le violenze. Quella lettera, come riferisce ancora Bssf, è stata sottoscritta da 800 sportivi nel Paese.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it