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Mutazioni Brca e Inps, quattro donne raccontano gli incontri con le commissioni

Mutagens-Favo: "Necessario fare un punto per un'applicazione uniforme"

Pubblicato:02-07-2021 15:45
Ultimo aggiornamento:02-07-2021 15:45

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ROMA – Nel febbraio 2019 è stata approvata dalla Commissione Medica Superiore dell’Inps – e divulgata a tutte le commissioni Inps regionali – la Comunicazione Tecnico Scientifica relativa alle donne con mutazioni Brca. Focus del documento sono gli esiti chirurgici degli interventi di riduzione del rischio previsti da linee guida e Pdta (Percorsi Diagnostici, Terapeutici e di Assistenza Regionali Per l’Alto Rischio Eredo-familiare), che vengono indicati per le donne malate e sane ad elevato rischio di tumore, come forma di prevenzione. Oggi Inps riconosce una percentuale di invalidità per chi si sottopone alla chirurgia profilattica, che comporta una ‘mutilazione di organo’ ed è motivata dall’alto rischio genetico. Per le donne che scelgono di non sottoporsi alla profilassi chirurgica e di limitarsi alla sorveglianza intensificata è prevista un’invalidità solo per gli eventuali risvolti delle patologie psichiatriche, correlate alla condizione di soggetto ad alto rischio di tumore.

LE DIRETTIVE INPS SULLE DONNE CON MUTAZIONI BRCA E LE PERCENTUALI DI INVALIDITÀ PREVISTE

Per quanto riguarda l’invalidità civile per gli esiti chirurgici per le donne portatrici sane di mutazione Brca, che abbiano scelto la mastectomia bilaterale e/o salpingo-ovariectomia bilaterale (ed eventualmente l’isteroannessiectomia in età fertile) la percentuale legata alla mastectomia bilaterale è del 40%, quella legata alla salpingo-ovariectomia del 35%, quella legata alla isterectomia – che rispetto all’annessiectomia comporta anche l’impossibilità di procreare – è del 25%. Per utero e ovaie nello stesso intervento si arriva al 40%. In caso di doppi interventi cumulati le percentuali si sommano e si arriva al 61% nel caso di sola annessiectomia e al 64% quando sia eseguita anche l’isterectomia.

Inoltre, nella Comunicazione Inps vengono considerati e valutati anche gli esiti psichiatrici, partendo dal presupposto che le donne con mutazioni Brca si trovano nella condizione di persona ‘che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione’. In tal modo viene riconosciuta una disabilità addizionale agli esiti chirurgici, che può essere lieve (10% di invalidità), media (25% di invalidità) e grave (dal 31 al 40% di invalidità) a seconda delle specifiche condizioni del paziente, certificate da uno specialista di patologie psichiatriche.


COSA ACCADE NELLE COMMISSIONI. ECCO APPELLO DI MUTAGENS E FAVO

Capita però, come emerge da diverse storie segnalate dalle associazioni di pazienti di tra cui la Dire ha scelto alcune testimonianze, che in ambito regionale spesso queste linee guida non vengano adottate al 100%, e che anche in commissioni diverse nella stessa regione le valutazioni possano essere eterogenee. Per Salvo Testa, presidente dell’Associazione Mutagens, che ha collaborato con Elisabetta Iannelli, segretario generale di Favo, al processo che ha portato alla stesura della Comunicazione Tecnico-Scientifica, ‘il processo decisionale delle Commissioni Inps presta il fianco ad una eccessiva discrezionalità a livello regionale e addirittura a livello di singola Commissione, creando ingiustificate disparità di trattamento tra pazienti in condizioni simili. Anche nel caso specifico delle donne con mutazioni Brca, pur essendo stata redatta dall’Inps una Comunicazione estremamente chiara e analitica, assistiamo a interpretazioni troppo differenziate, che vanno ben oltre la necessità di una valutazione del singolo caso’.

Altra criticità è rappresentata poi dalla presenza nelle commissioni sanitarie di medici che spesso non hanno competenze specifiche sulle sindromi genetiche ereditarie e sulle loro implicazioni. Per queste donne, come emerge dai racconti che arrivano alle associazioni pazienti, c’è la sensazione di non essere davvero capite, di una ‘mancanza di umanità’ per la insufficiente comprensione del quadro clinico nella sua interezza, che spesso porta a sottovalutare anche quegli aspetti più intimi con cui una donna mutata deve convivere.

‘Ci sono ancora troppi medici, non sufficientemente preparati in materia – sia dal punto di vista clinico sia normativo/amministrativo – convinti che la ‘mutilazione’ derivante dalla mastectomia profilattica (e/o mista oncologica e profllattica per le donne malate) sia una scelta personale della paziente, piuttosto che un intervento fondamentale di profilassi chirurgica, come indicato nelle linee guida e nei Pdta Alto Rischio Eredo-familiari regionali e ospedalieri. Con la conseguenza che non vengono riconosciute equamente le relative percentuali di invalidità previste dalla Comunicazione Inps’, denuncia il presidente di Mutagens. ‘Ovviamente tale condizione di rischio comporta per le donne notevoli implicazioni anche sul piano psicologico- aggiunge Elisabetta Iannelli- sia a livello personale sia nella sfera affettiva e relazionale. Aspetti peraltro considerati nella Comunicazione Inps con specifiche indicazioni in merito agli esiti psichiatrici, da certificare attraverso specialisti in materia. Anche in tal caso, purtroppo, per la mancanza nelle commissioni di personale medico con una specifica preparazione di tipo psicologico e psichiatrico, spesso tali aspetti non vengono colti e considerati, né dal punto di vista umano né da quello dei diritti del paziente”.

LE TESTIMONIANZE DI QUATTRO DONNE

Deborah, Elisa, Nicoletta e Ileana, che hanno raccontato il loro vissuto alla redazione DireDonne, portano all’attenzione proprio questa realtà: la scoperta di un tumore, le cure, la conoscenza di essere mutate, e il percorso avviato con l’Inps per vedere riconosciuta la loro invalidità.

LA STORIA DI DEBORAH

Deborah si è ammalata molto giovane nel 1997, a 24 anni ha avuto il primo tumore al seno con asportazione di un quadrante e svuotamento dei linfonodi con successivi 8 cicli di chemio e radioterapia. ‘Avevo l’invalidità ma non sono stata mai richiamata da alcuna commissione Inps per rivedere la percentuale dal 1998 e comunque non fruivo di nessun beneficio nonostante fosse dell’88%- racconta- ed esclusi 3-4 mesi in cui ancora studiavo e ho ricevuto un assegno non ho ricevuto altro, perché avevo comunicato che avevo trovato lavoro e quindi superavo i limiti reddituali. Nel 2015 però ho avuto un altro tumore al seno, e sempre dalla stessa parte. Ho fatto la mastectomia solo da una parte, altre chemioterapie fino al 2017 e all’Inps la richiesta d’invalidità, ottenendo il 90% e la 104. Nel 2016 ho scoperto di avere la mutazione Brca2. A quel punto ho fatto la mastectomia profilattica all’altro seno, e dopo la prima parte della chemio del 2016 mi tolgono la 104 e mi lasciano l’80% di invalidità e nel 2017 mi sottopongo anche all’intervento profilattico di ovaie e tube. Nel 2018 la Commissione mi richiama per la revisione, avevo finito le chemio e così mi danno il 50%, senza che vengano verbalizzati gli interventi profilattici. Ho chiesto l’aggravamento, facendo presente in commissione che non avevano messo anche la mutazione, che dal 2019 è un elemento riconosciuto.

‘Signora oramai tutti i tumori sono cosi’ (cioè derivanti da mutazioni)’: questa è stata la loro riposta. È incredibile- incalza- che non ci siano linee unitarie da seguire tra le regioni. In effetti io lavoro, sto bene, ma magari potrei andare in pensione prima se mi venisse riconosciuta tutta la situazione. Per non parlare poi delle implicazioni psicologiche, dell’osteoporosi a 43 anni, della scelta di non avere figli diventata poi l’unica possibilità”.

LA STORIA DI ELISA

Elisa ha scoperto di avere la mutazione Brca1 nel 2006, dopo 7 decessi nella sua famiglia tutti per tumore, e il consiglio a quel punto di fare dei controlli genetici. ‘Dai 23 ai 35 anni ho fatto controlli serrati- racconta Elisa all’agenzia Dire- e durante una risonanza di controllo hanno scoperto un tumore al seno multifocale triplo negativo. Ho fatto cicli di chemio per cercare di ridurre la proliferazione e poi l’intervento di mastectomia bilaterale e insieme ho chiesto che mi venissero tolte anche le ovaie. Questo ovviamente ha comportato una rinuncia ad avere figli; in quel momento mi hanno offerto la strada della Pma ma i tempi dell’inizio della stimolazione erano strettissimi e io non me la sono sentita. Alla scoperta del mio tumore ho fatto subito domanda di invalidità all’Inps, mi è stato riconosciuto l’85% senza accompagno, anche per il periodo della chemioterapia, e la legge 104. Non hanno però tenuto conto della mia situazione psicologica, io ero in cura da una psicologa che aveva fatto una relazione molto dettagliata, ma per il loro il mio era solo ‘un tono dell’umore deflesso’. Ho fatto anche un ricorso ma mi hanno confermato la stessa percentuale. La mia unica fortuna in questi anni è stata quella di lavorare per un’azienda che mi è sempre stata vicina. In questo mese di luglio avrò la revisione della mia domanda all’Inps e al momento sono a tutti gli effetti una persona con una remissione della malattia che deve solo fare follow up, per questo il mio timore è che possano abbassare la percentuale di invalidità di molto, anche se nel frattempo sono seguita anche da uno psichiatra per i problemi dell’umore. Se il punto sarà solo il fatto che ormai sono guarita e ho anche fatto chirurgia preventiva, c’è il rischio che abbassandola mi tolgano anche i tre giorni della 104 e i soldi dell’inabilità che prendo al momento, che sono pochi ma comunque utili. La mia situazione invece è quella di una donna di 38 anni che è già in menopausa chirurgica e che ha dovuto fare tanta riabilitazione dopo gli interventi. Non potrò tornare a fare il lavoro di sempre per 10 ore in piedi, mi sento sempre stanca e soffro di formicolii fortissimi agli arti, oltre ai continui sbalzi di umore– conclude Elisa- Per la mia esperienza posso dire che le commissioni Inps sono state totalmente disinteressate a quello che ho passato, una freddezza totale e nel mio caso due uomini a valutarmi, senza immaginare minimamente tutto quello a cui ho dovuto rinunciare come persona e come donna”.

LA STORIA DI NICOLETTA

Anche Nicoletta, il 9 marzo 2012 ha scoperto un carcinoma mammario e a quasi 38 anni ha fatto una mastectomia al seno sinistro con dissezione ascellare, chemio e radio e successivamente la ricostruzione. ‘Successivamente visti i casi di tumori di due cugini ho fatto il test genetico- racconta- e ho scoperto di avere la mutazione Brca1 e triplo negativo, così nel 2015 ho fatto anche l’altro seno e ho tolto tube e ovaie per prevenzione. Quando ho incontrato le Commissioni Inps ho trovato ben poca umanità- denuncia Nicoletta- la prima volta ho avuto il 100% e la 104, poi 4 mesi prima della scadenza me l’hanno tolta e hanno abbassato l’invalidità al 75%, sentendomi dire anche che dovevo prendere il lato positivo della faccenda, cioè di essermi potuta rifare il seno. Per me a livello psicologico è ancora molto difficile da accettare, nonostante siano passati 9 anni. Sono andata lì sotto radio, con una valutazione psichiatrica e sotto farmaci, ma tutto questo non è stato tenuto in considerazione. Da quel momento, considerata guarita, ho avuto l’assegno ordinario di invalidità, ma dopo tre volte, quando l’assegno doveva diventare a vita me l’hanno tolto. Oggi ho il 67% di invalidità a vita non rivedibile, non avendo tenuto della valutazione psichiatrica. A questo punto dovrei fare il ricorso per ottenere di più, magari almeno per avere la 104 e poterla usare almeno per andare a fare le visite ma la mia paura è che possano abbassarmela ancora di più”.

LA STORIA DI ILEANA

Ileana invece è l’unica che dopo un percorso tortuoso sembra aver visto riconosciuti i suoi diritti in pieno. ‘La mia storia inizia 12 anni fa a 21 anni, quando mi sono ammalata di un carcinoma duttale infiltrante al seno con metastasi ascellare- racconta alla Dire- Ho una storia familiare difficile, dalla parte di mio padre ci sono state molte morti per tumori, e così ho iniziato a fare dei controlli e ho avuto un percorso lungo e travagliato durato 7 mesi perché nessuno ha capito subito il problema e intanto il tumore era andato avanti. Successivamente facendo il test genetico ho scoperto di essere mutata al Brca1 ed essendo giovane ho sviluppato un tumore di tipo ormonale. Dopo un mese ho fatto l’intervento su un quadrante e svuotamento nel maggio 2009. Per 6 anni ho fatto punture per bloccare il ciclo mestruale e ho iniziato anche un altro farmaco che prendo ancora oggi. Poi nel 2015 ho fatto la mastectomia profilattica bilaterale, e sospese le terapie, nel 2016 mi è tornato il ciclo e sei mesi dopo sono rimasta incinta con una riserva ovarica bassa, e dopo sei mesi dal parto di nuovo un’altra gravidanza. L’idea di togliere ovaie e tube a quel punto è diventata realtà e a gennaio 2019 ho fatto l’intervento e sono andata in menopausa. Nel 2009 quando mi sono ammalata ho chiesto l’accompagno per le terapie e l’invalidità civile, riconosciuta dopo 3 mesi al 100%. Dopo un anno mi hanno tolto l’accompagno e hanno abbassato l’invalidità al 75% solo per tumore, così ho fatto ricorso e dopo 5 anni di causa ho vinto e mi hanno riconosciuto di nuovo il 100% con arretrati. Il mese successivo alla sentenza però mi hanno tolto tutto di nuovo, ho fatto un altro ricorso e sono tornata al 75%. Soffro di artrite reumatoide oltre a ipotiroidismo e fibromialgia, ma mi hanno considerato guarita dal tumore e avendo fatto interventi preventivi senza rischi di averne altri e ho perso la causa. Finalmente a febbraio di quest’anno ho avuto la visita di revisione e ho trovato una commissione preparata, soprattutto che sapesse cosa comporti la mia mutazione, ho trovato un medico che si è battuto per i miei diritti e ho ricevuto di nuovo il 100% senza diritto all’accompagno, rivedibile tra due anni’.

TESTA-IANNELLI (MUTAGENS-FAVO): URGENTE UN PUNTO CON COMMISSIONI INPS

‘A distanza di poco più di due anni dalla Comunicazione Tecnico-Scientifica dell’Inps, persistono evidenti problematiche relative alla sua attuazione, riteniamo doveroso, come Associazione Mutagens e Favo, promuovere un confronto costruttivo con l’Istituto per individuare insieme le strategie più idonee a rendere più coerente, omogenea e chiara la applicazione di tale Comunicazione su tutto il territorio nazionale- spiegano Salvo Testa ed Elisabetta Iannelli- ed anche perché la questione ormai non riguarda solo le mutazioni Brca1 e 2″. ‘Purtroppo, anche per il ritardo e la frammentarietà con cui si stanno approvando e attuando i Pdta Alto Rischio regionali nei soggetti portatori di altre sindromi – come la Sindrome di Lynch, la Sindrome di Cowden, la Sindrome Li Fraumeni e altre correlate alle mutazioni di altri geni, associate a tumori a seno, ovaio, endometrio – al momento le indennità vengono riconosciute solo a pazienti donne con mutazione Brca– aggiunge Testa- Quindi, anche per una questione di equità e parità di trattamento e sulla base delle linee guida nazionali e internazionali che oggi sono sicuramente più aggiornate rispetto a due anni fa, riteniamo sia giusto estendere le indicazioni di tale Comunicazione anche ad altre sindromi ereditarie e in alcuni casi anche ai soggetti maschi, finora del tutto esclusi da tale opportunità’.

“La comunicazione Inps- ricorda Iannelli- ha avuto una portata innovativa rilevante nel sistema di welfare italiano basandosi sulle più recenti innovazioni in campo medico-scientifico che hanno portato e, sempre più porteranno, cambiamenti di approccio nella diagnostica, nella sorveglianza attiva e nei trattamenti profilattici delle persone a rischio oncologico. È per questo fondamentale che le indicazioni date dall’Inps per una corretta valutazione della disabilità anche per le persone sane portatrici di un rischio genetico vengano conosciute ed applicate in maniera uniforme da tutte le commissioni medico-legali sul territorio. Le persone a rischio genetico di malattia hanno diritto di ottenere i giusti riconoscimenti per la disabilità derivante dal peso psicologico legato alla consapevolezza del rischio di ammalarsi e delle conseguenze disabilitanti di interventi terapeutici profilattici effettuati per ridurre grandemente il rischio di sviluppare un cancro’.

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