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Il fotoreporter Senigalliesi: “Profughi torturati e marchiati dalle mafie su rotta balcanica”

ROMA - "Nel mese scorso, durante il lungo

Pubblicato:02-06-2016 12:00
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:48

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ROMA – “Nel mese scorso, durante il lungo viaggio sulla ‘rotta balcanica’, tra le tante storie raccolte da Lesbo a Gorizia avevo percepito qualcosa di non detto. Tanti racconti si fermavano a un certo punto”. L’intuizione di Livio Senigalliesi, fotografo di lungo corso abituato agli scenari di guerra più efferati, si è rivelata corretta. Il suo racconto ha trovato spazio oggi nel blog che Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, tiene sul sito web del Corriere della Sera. Di recente il fotoreporter ha visitato per 24 giorni i principali campi profughi sul Mediterraneo o lungo la rotta balcanica: “Quando li avvicinavo per chiedere delle interviste utili al documentario, non mi sentivo di andare più a fondo e di scavare in quel ‘non detto’. Mi sono reso conto conto che queste persone più che di medici e di cibo hanno bisogno di psichiatri. Traumi di guerra e mancanza di prospettive li distruggono giorno dopo giorno. La loro capacità di resistenza è messa a dura prova”.

migranti_mafieE’ nei campi nel nord della Serbia che Livio riesce a ottenere le confidenze di queste persone: “Molti non si aspettavano di essere tanto maltrattati in quella che loro immaginano la ‘Patria del diritto'”. Uno di loro, Mohamed, tra le lacrime, inizia a raccontare: “Eravamo in quattro, avevamo pagato i trafficanti per raggiungere la Serbia. Ad un certo punto hanno estratto le armi, ci hanno legato le mani e bendato gli occhi. Poi ci hanno portato dentro una casa. Abbiamo sentito urla provenire da altre stanze. Hanno continuato a picchiarci e a torturarci fino a quando uno dei capi ci ha detto di telefonare a casa ai nostri parenti per far spedire 1000 dollari americani a testa. Se i famigliari avessero pagato, sarebbero finite le botte, altrimenti i profughi sarebbero spariti, sarebbero stati liquidati. In attesa del pagamento- prosegue il ragazzo di origine nordafricana- siamo stati messi in una cantina sudicia senza latrina e non ci hanno dato neppure pane e acqua. Abbiamo creduto di morire. Poi quando il pagamento è arrivato, siamo stati marchiati a fuoco come delle bestie. Era la nostra ricevuta di pagamento. E siamo stati lasciati liberi. Degli altri non abbiamo saputo più nulla”. Il fotogiornalista a questo episodio aggiunge che, anche se non esistono prove che lo confermino, “si parla di un traffico d’organi organizzato dalla malavita per spolpare i profughi fino all’osso“. Ma il racconto del ragazzo non è finito: alle botte e alle torture, si aggiungono anche “le violenza sessuali e abusi di ogni genere”. La parte più imbarazzante e dolorosa da condividere. Un ragazzo iraniano si scopre con rabbia il braccio e mostra il marchio: “Vedi cosa ci hanno fatto? Ecco il marchio della vergogna. Il capo della banda parlava macedone ma c’erano anche serbi, greci e pakistani. Le mafie sono tutte d’accordo e noi siamo solo come agnelli in attesa del sacrificio“.


“La corruzione è arrivata a tali livelli che i migranti sono un business per tutti”, è il commento di denuncia di Livio Senigalliesi, che ha ricordato: “Tutto questo avviene qui vicino a noi, ad un’ora di volo da Roma. La polizia macedone conosce le coordinate del luogo ma non interviene”, mentre “con tutte le tecnologie oggi a disposizione ci vorrebbe poco a stroncare la rete dei trafficanti. Perchè non usare Frontex, Interpol, intelligence o i droni della Nato per colpire questi pericolosi criminali?” è la sua domanda, a cui si aggiunge un interrogativo ben più grave: “Chi restituirà mai a questi ragazzi la convinzione di essere arrivati in un luogo migliore di quello che hanno lasciato?”

di Alessandra Frabetti, giornalista

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