NEWS:

“Primo io”, “Primi noi”… E invece è una Pasqua da maratoneti

C'è smania di tagliare il nastro del traguardo, di finire in fretta. Ma è una narrazione che non basta. Ci vorrà altro tempo: e visto che alle spalle c'è tanta fatica e davanti non poche incognite, l'assillo di prevedere forse non aiuta

Pubblicato:02-04-2021 11:15
Ultimo aggiornamento:02-04-2021 11:15

tasto rinnovo tempo
FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

BOLOGNA – Primi, primi: bisogna arrivare primi. Per primi o ‘prima di’. Il braccio di ferro con il Covid e le emergenze che innesca è diventato sui territori una corsa di resistenza in cui bisogna (almeno) arrivare primi. Da qualche tempo a questa parte, è una ‘narrazione’ ricorrente, specie della politica. Genova ha detto di voler essere “la prima città d’Italia a essere completamente vaccinata”. La Liguria vede in aprile l’ultimo miglio per riaprire “a inizio maggio” e rivendica d’aver fatto “per prima” l’accordo per i vaccini nelle farmacie. Il Veneto vuol chiudere “la partita dei vaccini prima dell’estate”. In Toscana la Regione ha rivendicato un primato di vaccinazioni nelle rsa e il Comune di Firenze vanta il suo essere stato primo tra le grandi città a fare lo screening a materne, elementari e medie. E un po’ tutti dicono di essere ‘primi’ nella corsa a vaccinare tutti i loro cittadini. Lo vanta il Veneto, ma esattamente come l’Emilia-Romagna (“Primato per immunizzati su popolazione reale”) e perfino la Lombardia travolta dai problemi dice di far meglio di Belgio e Svezia. Ma quindi: chi è primo, se sono tutti primi? Ogni amministrazione, specie in un tempo difficile come l’attuale, sfoggia le proprie eccellenze: è giusto, e spesso anche vero; tuttavia, stavolta sembra anche una narrazione meno convincente. Per quanto si possa primeggiare, il virus galoppa e non meno veloci viaggiano i guai e i disastri che fa. E se tutti sono, o dicono di essere primi, come si fa a capire chi ha ragione? Infatti, non si capisce e così l’effetto annuncio si smorza, si perde. Soprattutto se poi sembra che non basti più dire ‘siamo i primi’: non è più una consolazione sufficiente. C’è chi sta meglio e chi meno, ma i ristoratori allo stremo hanno invaso sia l’A1 a Bologna che la tangenziale di Bari…

Anche per questa Pasqua ‘alta’ si voleva arrivare prima. Come per lo sci, si voleva risolvere con il Covid in tempo per riassaporare il gusto di un po’ di normalità e di evasione. Ma come per la neve, anche per Pasqua il pur volenteroso calcolo dei tempi per ‘fare in tempo’ si è ritrovato a fare i conti con una realtà diversa e difficile. Sarà una Pasqua ‘di passione’ perché, a modo suo, è un po’ negata. Per quanto si sia ‘primi in…’, ‘sa’ di appuntamento mancato.

Qui sta forse un altro segnale o segno dei tempi: ci vorrà tempo, più tempo del previsto. Anche la scuola vanta di essere la prima a riaprire dopo Pasqua, ma chi ha garanzia che eviterà nuovi stop and go? E comunque, appunto, non è detto che basti promettere di arrivare per primi al traguardo per resistere fino ad allora.


È buffo allora che proprio lo snodo di Pasqua dica che bisogna spostare più in là, e ancora, lo sforzo della pazienza. Furbetti a parte, è solo una Pasqua da ‘passare’ aspettando un altro appuntamento ‘buono’ per far festa? Forse, come diceva Erri De Luca, “Pasqua è voce del verbo ebraico ‘pesah’, passare: non è festa per residenti, ma per migratori che si affrettano al viaggio”. Ricorda cioè quanta strada c’è ancora da fare, che bisogna camminare ancora. Il traguardo non è vicinissimo. Ma “allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi dove ci sono muri, per voi operatori di brecce, saltatori di ostacoli, corrieri ad ogni costo, atleti della parola Pace”, scrive ancora De Luca. Servono cioè altre ‘narrazioni’ per stare dentro questa corsa. Per attraversare questa stagione, di cui non si ricorderanno solo i primati e i record (che sono fatti per essere superati). La Pasqua ‘negata’ è quella pausa che assomiglia un po’ ai punti di rifornimento dei maratoneti. Ci si ‘ricarica’ poco, ma si sta focalizzati sulla gara che resta. E la fatica che chiederà; che vuol dire forse non avere la pretesa di prevedere, ma di vedere in profondità. Il che per la politica alle prese con l’ansia da prestazione non sarebbe poco. Non avremo un cambio di paradigma, però; non avremo forse parole meno prudenti ma ispirate: c’è voglia di tagliare il nastro del traguardo, di finire in fretta. E tant’è. Eppure, ci vorrà altro tempo: e visto che alle spalle c’è tanta fatica e davanti non poche incognite, sarà decisivo scegliere come starci in questo tratto. Perché in fondo, sono gli sprinter dei 100 metri che si prendono flash e attenzioni, ma è la maratona che chiude i giochi e dove anche l’ultimo è spesso una storia vincente.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it