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Kenya, Simmons (Amref): “A Garissa festa, ma altrove angoscia”

Oggi in Kenya si celebra il primo anniversario della strage nell'Universita' di Garissa

Pubblicato:02-04-2016 15:01
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:30

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Amref_Maratona Garissa 6

Oggi in Kenya si celebra il primo anniversario della strage nell’Universita’ di Garissa, in cui un commando di miliziani di Al-Shabaab, armi in pugno, fece irruzione nei locali dell’istituto e aprirono il fuoco contro inermi studenti e insegnanti, uccidendone 142. Una ferita profonda per questa citta’, che pero’ oggi ha deciso di ricordare le vittime “in un’atmosfera di festa”, come racconta Tommy Simmons, fondatore di Amref health Africa in Italia, che in questi giorni e’ a Garissa per unirsi a queste celebrazioni. Stamani molto presto e’ partita dal campo sportivo dell’Universita’ una maratona di commemorazione: la Garissa memorial marathon, organizzata dall’Africa talent and change foundation (Atcf), evento che ha lo scopo di “ricordare gli studenti uccisi” ma anche “costituire una piattaforma per la coesistenza interreligiosa, la coesione sociale e lanciare un messagio contro il terrorismo”, come ha spiegato alla Dire Abdiaziz Mohamed Khalif, presidente dell’Atcf. Inoltre, l’iniziativa serve a “individuare nuovi giovani talenti per avviarli nel mondo dell’atletica, cosi’ da migliorare le loro condizioni di vita evitando che si uniscano ai gruppi jihadisti”.

I partecipanti, come ha spiegato ancora Tommy Simmons, anche lui raggiunto dall’Agenzia Dire, “sono partiti da poco in un clima positivo”, sottolineando come tanta allegria sembri “all’apparenza incongrua a fronte dell’evento che ricorda”. Ma questo, prosegue, “e’ dovuto alla volonta’ della societa’ civile di ricostruire la vita della citta’ e dell’universita’ e di esprimere il proprio rifiuto al terrorismo, senza cedere a compromessi i ricatti”. Mentre la maratona prosegue all’esterno – prevede due percorsi attraverso la citta’, uno da 5 e l’altro da 10 chilometri – nell’Universita’ fervono i preparativi per i tanti appuntamenti della giornata: si allestisce il palco delle autorita’, provando i microfoni e sistemando cavalletti e telecamere. Simmons, al suo quarto giorno nella regione nord-orientale del Paese, riferisce di una situazione tranquilla in citta’: “In questi giorni ho passeggiato ovunque, tranquillamente”. Tuttavia nelle localita’ circostanti, le cose stanno diversamente: “Ieri ho visitato Fafi, un villaggio a circa cento chilometri da Garissa. E’ stato attaccato ben due volte dagli Shebaab: le strutture scolastiche e sanitarie sono state date alle fiamme, nessuno e’ morto ma il personale che vi lavorava e’ fuggito”. Questa e’ una delle conseguenze peggiori dei continui attacchi dei jihadisti: costringere gli impiegati specializzati alla fuga, per paura di nuovi attacchi. Il governo cerca di reclutarne di nuovi, ma nella maggior parte dei casi le persone si rifiutano e rinunciano agli incarichi.


La regione del nord-est quindi si sta svuotando di insegnanti, medici, infermieri e altre figure professionali, e non resta altro da fare “che inviare i neodiplomati, che non hanno nessuna esperienza”. La regione del nord-est e’ tradizionalmente divisa dal resto del paese: di etnia somala, parla un’altra lingua e pratica un’altra religione. L’arrivo del terrorismo jihadista ha sconvolto il fragile processo di integrazione nazionale: “il nord-est e’ diverso dal resto del Kenya, che e’ a maggioranza cristiana. Qui la gente si e’ sempre sentita trascurata dalle istituzioni, sia al tempo del colonialismo che sotto il governo del Presidente Uhuru Kenyatta” in quanto, spiega ancora il fondatore di Amref health Africa, i servizi sono sempre stati “di qualita’ molto piu’ bassa che nelle altre regioni”. Prima dell’avvento degli Shabaab “grandi sforzi erano stati fatti per l’integrazione nazionale, e l’Universita’ era un simbolo importante di questo riscatto”. Simbolo che e’ finito nel mirino dei jihadisti, “sia perche’ fa suo il modello educativo occidentale, sia perche’ espressione del governo nazionale”, entrambi “nemici da combattere” secondo la visione dei jihadisti. La sensazione che la popolazione locale prova dunque “e’ di forte isolamento, frustrazione e Amref_Un anno dalla strage di Garissapaura, soprattutto per il futuro dei giovani”. Anche Khalif, presidente dell’Atcf, lo conferma: la principale sfida che questa regione deve affrontare “e’ la disoccupazione giovanile”. Senza un futuro, i ragazzi sono infatti piu’ vulnerabili alla propaganda jihadista. Ma la gente non si arrende: il governo ha risposto all’emergenza “reinsediando nella regione un vecchio prefetto di etnia somola molto amato, che ha instaurato un dialogo molto costruttivo con gli anziani del territorio”. Il fatto di aver ristabilito una rete di contatti fa si’ che “giungano segnalazioni e informazioni” che hanno permesso alle autorita’ “di prevenire alcuni attacchi e compiere vari arresti”. Il controllo del territorio quindi “e’ molto migliorato perche’ sono migliorati i rapporti tra stato e leader locali”. Davanti al cancello d’ingresso dell’universita’ poi sono stati collocati dei barili di cemento “per ostacolare eventuali autobombe quindi- suggerisce Simmons- si intuisce che da parte delle autorita’ c’e’ un’attenzione maggiore al problema”. Non e’ mancata neanche una reazione forte da parte della societa’ civile, impeganata a contrastare “il senso di disperazione che sta assalendo la gioventu’ locale, come mi ha spiegato un anziano con cui ho parlato ieri pomeriggio” dice Simmons. Questa consiste in numerose associazioni locali che lavorano con i giovani, per infondere coraggio. Una ad esempio, conclude Simmons, “ha organizzato una marcia per la pace a piedi da Garissa a Mandera, di 600 km. Hanno impiegato un mese e mezzo, attraverso un territorio minacciato dagli Shabaab, passando di villaggio in villaggio per sensibilizzare ma soprattutto far sentire alle persone la vicinanza del resto della popolazione”. “Bisogna combattere la tentazione dei giovani a cedere alla radicalizzazione e all’estremismo, poiche’ le loro menti, ancora plasmabili, offrono terreno fertile a queste pericolose ideologie”, avverte l’ideatore della maratona di oggi, che non a caso coinvolge ragazze e ragazzi a partire dai 18 anni.

di Alessandra Fabbretti, giornalista

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