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ROMA – Dopo la chiusura delle indagini sulla gestione iniziale della pandemia, con le accuse della Procura di Bergamo all’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, Attilio Fontana e Giulio Gallera, torna in primo piano la proposta di una commissione d’inchiesta parlamentare su come la politica si è mossa per arginare la diffusione del Covid in Italia. “Per come la penso io più che una commissione parlamentare sul passato, sarebbe necessaria una commissione parlamentare sul futuro”. Così alla Dire il professor Massimo Galli, docente di Malattie Infettive dell’Università Statale di Milano, che oggi pomeriggio è stato ascoltato in audizione informale dalla commissione Affari sociali della Camera, nell’ambito della proposta di legge per l’istituzione della commissione d’inchiesta.
“Servirebbe un gruppo di lavoro parlamentare che intervenga sull’attuale legislazione e parli dell’attuale organizzazione – ribadisce il professore – per poter arrivare ad una situazione che ci ponga la prossima volta, e temo che sia praticamente fatale che possa essercene una prossima, in grado di reagire e capire meglio chi ha compiti e funzioni dei vari organi dello Stato, perché ad esempio sulla questione lombarda non era neanche chiaro chi doveva essere sulle cose”, conclude Galli.
“Alcuni punti credo che devono essere messi sul tavolo: il primo è se l’Italia aveva un piano pandemico adeguato per la gestione dell’infezione da SARS-CoV-2”. Ha esordito così il professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova, ascoltato oggi in audizione informale dalla Commissione Affari sociali della Camera, nell’ambito della proposta di legge per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid. “Il piano pandemico italiano era fermo al 2006, cioè a 14 anni prima – ha proseguito Bassetti – tuttavia in quel piano, anche se non aggiornato, c’erano alcune cose che se fossero state fatte avrebbero sicuramente permesso di gestire la pandemia in maniera diversa”.
“Si parlava ovviamente del miglioramento della sorveglianza epidemiologica e virologica – ha ricordato l’esperto -, delle misure di attuazione per la gestione dall’infezione, di garantire il trattamento e l’assistenza dei casi, di mettere a punto piani di emergenza per mantenere la funzionalità dei servizi sanitari e degli altri servizi essenziali e un piano di informazione e delle adeguate strategie di comunicazione”. Tutte cose che, se fossero state messe in pratica, ha osservato Bassetti, avremmo “per esempio forse potuto capire prima che c’erano dei casi anomali in alcune regione italiane”.
“Le persone che andavano protette nella prima fase erano evidentemente i soggetti più fragili, cioè gli anziani e gli immunodepressi – ha rimarcato l’infettivologo -. Invece chi ha subito le maggiori restrizioni sono stati i giovani: durante il periodo in cui mi recavo in ospedale, ricordo i ragazzi a casa e gli anziani in giro per andare al supermercato”.
“Sulla chiusura delle scuole avremmo avuto bisogno di regole precise, dettagliate e uniformi per l’intero territorio nazionale – ha aggiunto Bassetti – invece le regioni andavano in ordine sparso. All’inizio del settembre 2020 non c’era un accordo sulla data di riapertura e quando altri Paesi riaprivano le scuole noi abbiamo continuato a tenerle chiuse”.
“Il Comitato tecnico scientifico, istituito il 5 febbraio 2020, in una prima fase vedeva fondamentalmente la presenza di alcuni esperti del ministero. Tale comitato fu rivisto nel marzo del 2021, ma dobbiamo sottolineare una cosa molto importante, cioè come in quel comitato non c’era nessun rappresentante delle società scientifiche attive nel campo della lotta e dello studio delle infezioni”, ha notato Bassetti. “Le prime regioni che affrontarono l’epidemia furono la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, la Liguria, il Piemonte, il Friuli Venezia Giulia. Nessun medico di quelle regioni è stato incluso in una fase dinamica successiva. Allora la domanda è: perché il comitato tecnico scientifico venne rivisto unicamente più di un anno dopo?”.
“Nella fase iniziale è mancato un protocollo unico per i trattamenti e i medici non visitavano a casa. E questo è stato un problema, perchè la malattia colpiva persone a casa – ha concluso il direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’ospedale San Martino di Genova – Molto dalla campagna vaccinale italiana è stato influenzato dalla comunicazione dei mass media a partire dal vaccino Astrazeneca, usato nel mondo ma da noi cannibalizzato”.
“Da un’analisi preliminare emerge che numerosi tra i compiti della Commissione di inchiesta definiti dalle tre proposte di Legge presentano una o più criticità. Innanzitutto alcuni compiti della Commissione di inchiesta hanno una fattibilità minima o nulla per varie ragioni: dati assenti, insufficienti o di scarsa qualità; impossibilità di definire relazioni causa-effetto; complessità dei benchmark con altri Paesi; elevato grado di soggettività del giudizio”. Così Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, ascoltato oggi in audizione informale dalla Commissione Affari sociali della Camera, nell’ambito della proposta di legge per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid. “Di conseguenza, tale Commissione – ha aggiunto Cartabellotta – dovrà valutare fattibilità e costi dei compiti della Commissione d’inchiesta, al fine di definirne le priorità”.
Il presidente della Fondazione Gimbe ha spiegato: “Vanno tenute in considerazione alcune criticità generali, tra cui l’iniziale assenza di evidenze scientifiche a cui è succeduta una rapida acquisizione di conoscenze che hanno innescato un’infodemia che, a sua volta, ha reso complesso per la comunità scientifica sintetizzare le evidenze e formulare le raccomandazioni”.
“Nonostante questa enorme produzione scientifica – ha proseguito l’esperto – permangono ancora oggi diverse aree grigie (evidenze assenti, conflittuali, di scarsa qualità)”. Tra le altre criticità, ci sono la “complessità di esprimere giudizi ex-post su decisioni influenzate anche da una situazione emergenziale mai sperimentata prima“, ma anche la “certezza che l’impatto della pandemia sui servizi sanitari e sugli esiti di salute sono condizionati da innumerevoli processi clinici e organizzativi, oltre che da numerose variabili, come documentato da un recente report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (‘Imagining the future of pandemics and epidemics: a 2022 perspective’) che ne elenca ben venti”, ha concluso Cartabellotta.
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