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VIDEO | Palleschi: “La vita attiva previene il rischio di malattie neurodegenerative”

SPECIALE DONNE E SALUTE | La malattia di Alzheimer è leggermente più frequente nel sesso femminile

Pubblicato:02-03-2020 12:35
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 17:04

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ROMA – Le malattie neurodegenerative sono patologie debilitanti che causano la degenerazione progressiva e poi la morte delle cellule nervose. Ciò comporta ricadute sull’attività motori e mentale. L’Alzheimer e il Parkinson sono sicuramente quelle più conosciute e con più alto tasso di incidenza. Ma per capire bene di cosa stiamo parlando e cosa vuol dire per il paziente esserne affetti, l’agenzia di stampa Dire ha intervistato Lorenzo Palleschi, Direttore dell’UOC di Geriatria AO San Giovanni Addolorata di Roma.

– Cosa sono le malattie neurodegenerative e qual è l’incidenza in Italia?


“Le malattie neurodegenerative sono un gruppo di malattie caratterizzate dalla perdita delle cellule neuronali, elementi costitutivi del sistema nervoso, che non si riproducono se non in circostanze e in zone particolari. Pertanto quando muoiono o vengono danneggiate l’organismo non può sostituirle. Alcune malattie neurodegenerative infatti si possono manifestare con disturbi che afferiscono alla sfera cognitiva altri invece coinvolgono il movimento. Le patologie neurodegenerative più frequenti sono l’Alzheimer e il Parkinson. La prima è dovuta all’accumulo di proteine come beta amiloide e la proteina tau a livello cerebrale che comportano un accumulo di placche e grovigli neurofibrillari ed hanno un’azione tossica sul cervello. Il risultato è un progressivo deficit di tutte le funzioni cognitive. Il Parkinson invece è caratterizzato da una perdita di neuroni in una zona particolare che si chiama ‘sostanza nera’ del cervello e che provoca tutta una serie di disturbi nel cervello che danno infine luogo a tremore, rigidità corporea e instabilità posturale. L’Alzheimer in Italia affligge 600mila persone ad oggi. Per decodificare il dato basti pensare che la popolazione nel nostro Paese conta 60milioni di persone con una prevalenza dell’1% nella popolazione generale. Poiché il principale fattore di rischio è l’età se andiamo a considerare la fascia degli ultra 65enni l’incidenza sale al 5%. Man mano che aumenta l’età questo valore sale sempre di più arrivando ad un 20% negli 80enni e tocca il 30% nei soggetti con più di 90 anni”.

– Si registra una differenza tra uomo e donna o l’incidenza non varia con il sesso?

“La malattia di Alzheimer è leggermente più frequente nel sesso femminile mentre il Parkinson, seconda malattia neurodegenerativa per numero di pazienti, colpisce più gli uomini”.

– Tra le varie demenze esiste una di tipo vascolare che determina la compromissione delle funzioni cognitive. Da cosa dipende ed esistono fattori di rischio precisi?

“La demenza vascolare detta anche multinfartuale è dovuta all’accumularsi di danni ischemici. Generalmente è determinata da ictus maggiori o minori. Questo tipo di demenza deriva da un deficit di afflusso di sangue al cervello che determina una ischemia che affligge diverse aree cerebrali. Come detto, più in generale le demenze sono caratterizzate dalla perdita dei neuroni in più aree cerebrali. In particolare la demenza vascolare rappresenta il 20% di tutte le demenze. Sono due le tipologie di fattori di rischio, quelli non modificabili che sono l’età e i fattori genetici e altri invece modificabili e che sono: l’ipertensione, il diabete mellito, l’obesità in età adulta, la sedentarietà, la fibrillazione atriale e il fumo di sigaretta. E’ stato calcolato che una riduzione dal 10 al 25 % di ognuno di questi fattori di rischio sarebbe in grado di prevenire da 1,11 a 3 milioni di casi di demenza”.

– L’età media della popolazione si è allungata ma crescono proporzionalmente le malattie croniche. Cosa bisogna fare sin da giovani per vivere nell’età adulta meglio e non solo a lungo?

“Sembrano cose scontate ma il segreto risiede nel praticare una regolare attività fisica e mantenere sempre ben attiva la mente e prevenire le malattie cardiovascolari. Infine raccomando, anche ai miei pazienti, di sviluppare anche in età adulta relazioni sociali ed affettive di qualità”.

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