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Colpo alla mafia, 23 arresti: c’è anche il mandante dell’omicidio Livatino

C'è' anche un'avvocata penalista agrigentina, tra i coinvolti: nel suo studio si sarebbero svolti summit dei boss

Pubblicato:02-02-2021 11:21
Ultimo aggiornamento:02-02-2021 17:40

carabinieri
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PALERMO – Operazione antimafia dei carabinieri del Ros con il supporto dei Comandi provinciali di Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta: 23 i fermati nell’ambito di una inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo contro Cosa nostra e Stidda. In azione anche i militari del 12esimo Reggimento Sicilia, dello ‘squadrone’ eliportato ‘Cacciatori Sicilia’ e del nono Nucleo elicotteri. Tra le accuse, a vario titolo, quelle di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale e tentata estorsione. L’operazione è stata denominata ‘Xydi’.

Trai fermati c’è anche Antonio Gallea, tornato in semiliberta’ dopo avere scontato 25 anni di reclusione per essere stato riconosciuto tra i mandanti dell’omicidio del magistrato Rosario Livatino, ucciso il 21 settembre del 1990. Avrebbe tramato per riorganizzare la Stidda agrigentina e operato in “sinergia criminale” con Cosa nostra per la risoluzione di diverse vicende e la spartizione dei proventi delle attivita’ illecite.

Le indagini, avviate nel 2018, si sono sviluppate nella parte centro-orientale della provincia di Agrigento, accendendo i riflettori in particolare sul mandamento mafioso di Canicatti’ “che costituisce tuttora l’epicentro del potere mafioso – spiegano i carabinieri – dell’ergastolano campobellese Giuseppe Falsone“. Quest’ultimo e’ tra i destinatari del provvedimento cautelare “in quanto risultato a capo della provincia mafiosa di Agrigento”. La Dda di Palermo ha fatto luce sugli assetti di Cosa nostra agrigentina e sulle dinamiche che riguardano le famiglie di Canicatti’, Campobello di Licata, Ravanusa e Licata. Tra i nomi venuti fuori quelli di Calogero Di Caro, considerato capo del mandamento, di Giancarlo Buggea, “rappresentante” di Falsone e “organizzatore” del mandamento, e di Luigi Boncori, capo della famiglia di Ravanusa. Ricostruiti, inoltre, i rapporti tra i rappresentanti del mandamento di Canicatti’ con esponenti mafiosi delle province di Agrigento, Trapani, Catania e Palermo, “sintomatici – dicono i carabinieri – della perdurante unitarieta’ dell’organizzazione”. C’e’ poi il capitolo della Stidda: i carabinieri parlano a tal proposito di una “rinnovata presenza” nel territorio del mandamento di Canicatti’ di dell’organizzazione parallela alla mafia “ricostituitasi” intorno alle figure degli ergastolani semiliberi Antonio Gallea e Santo Gioacchino Rinallo“.


SUMMIT DI COSA NOSTRA AGRIGENTINA NELLO STUDIO DI UNA AVVOCATA

 C’e’ anche un’avvocata penalista agrigentina, Angela Porcello, tra i coinvolti nell’operazione ‘Xydi’. Secondo i carabinieri Porcello la donna, che in passato ha difeso diversi esponenti mafiosi come il boss agrigentino Giuseppe Falsone, avrebbe ricoperto “un ruolo di rilievo nell’ambito delle dinamiche associative delle articolazioni mafiose oggetto dell’indagine”. Porcello “sfruttando le garanzie del mandato difensivoavrebbe “messo a disposizione” di numerosi affiliati al mandamento il proprio studio legale per alcuni summit di mafia “ritenendolo – dicono i carabinieri – luogo non soggetto a investigazioni”. Nello studio si sono svolti, secondo il racconto dei militari, incontri che hanno riguardato “esponenti mafiosi di primo piano” quali Luigi Boncori, considerato capo della famiglia mafiosa di Ravanusa, Giuseppe Sicilia, capo della famiglia di Favara, Giovanni Lauria, vertice della famiglia di Licata, Simone Castello, considerato “uomo d’onore di Villabate e gia’ fedelissimo di Bernardo Provenzano”, e Antonino Chiazza, esponente della Stidda. “Servendosi” di Porcello, inoltre, il boss Falsone, sottoposto al carcere duro del 41 bis, oltre a riuscire a “interagire” con altri capimafia a loro volta sottoposti allo stesso regime detentivo, avrebbe veicolato e ricevuto informazioni.

I DIALOGHI DI FALSONE: “SERVE UN’ORGANIZZAZIONE SOCIALE

La criminalità “come un carciofo” o “come la vite”. Sono le metafore utilizzate dal boss agrigentino Giuseppe Falsone, il cui nome compare tra i destinatari del fermo emesso dalla Dda di Palermo con l’inchiesta ‘Xydi’, nel corso di un colloquio telefonico con l’avvocata Angela Porcello, indagata e fermata nel blitz. È il 10 aprile del 2019 e Falsone, condannato all’ergastolo e al 41 bis nel supercarcere di Novara, dialoga al telefono con il suo legale: le frasi sono intercettate dalle cimici del Ros. Secondo gli inquirenti il capomafia ricorre “a un frasario certamente allusivo finalizzato a far giungere ai suoi sodali in libertà le ragioni della sua insoddisfazione in ordine alla gestione della provincia mafiosa di Agrigento“. Porcello e Falsone discutono di una escalation di microcriminalità nella zona di Canicattì e il boss “inizia una lunga e simbolica dissertazione – osservano i magistrati della Dda – scrivendo così una vera e propria pagina di antologia mafiosa“.

Per gli inquirenti, infatti, il lungo periodo di detenzione al 41 bis “non ha scalfito le capacità di comando” di Falsone. “La Sicilia è una terra desolata, è una terra di miseria“, osserva il capomafia secondo cui “ora si formeranno tutte situazioni di piccolo banditismo che sarà micidiale”. A questo punto la metafora ‘agricola’: “Questi nascono per natura, no? Lei ce l’ha presente il carciofo? Come si coltiva il carciofo?”. E ancora: “Quando da una zappata e tira il carciofo e non c’è più il carciofo, cosa… cosa sparano sotto? Sparano i carduna (i cardi, ndr), noi li chiamiamo, no? Ogni carciofio si vede che fa 20 carduna, e così è la cosa… quando non c’è un buon senso, diciamo, e ragionevolezza, ognuno poi ragiona a conto suo, questo è il quando non c’è punto di riferimento di… la società da noi è una società difficile, c’è da scappare dalla Sicilia, io non lo so come la gente resiste”. Dal carciofo si passa alla vite: “La stessa cosa – dice ancora Falsone -. Si innesta la vite? E cresce qualche cosa di mansueto che porta al frutto, no? Quando si dà una zappata e si tira la vite mansueta, che cosa sparano? Barbatelle… diecimila fusti… diecimila, diciamo, gemme di barbatelle… e così è! È nella natura delle cose, no?”. Il boss agrigentino quindi conclude: “O si indirizza una società verso…o se no ognuno va per conto suo e non si capisce più niente, no? Ci vuole un minimo di organizzazione sociale, no? Chi la deve fare? Chi la deve fare? Chi se la deve prendere questa briga di un’organizzazione sociale? Lo Stato dov’è?”.

MESSINA DENARO ANCORA “PUNTO DI RIFERIMENTO” COSA NOSTRA

Dall’inchiesta’ Xydi’ è emerso che il superlatitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro ha ancora una “posizione apicale” in Cosa nostra ed e’ “punto di riferimento decisionale dell’organizzazione” avendo continuato a impartire direttive sugli affari illeciti piu’ rilevanti della mafia trapanese e di altre province siciliane.

CONTATTI TRA COSA NOSTRA SICILIANA E GAMBINO DI NEW YORK

I contatti tra la mafia siciliana e quella di New York, una costante nella storia di Cosa nostra, vengono confermati anche dall’inchiesta ‘Xydi’. “Particolarmente rilevanti sono i contatti con esponenti della famiglia Gambino di Cosa nostra newyorkese, interessata ad avviare articolate attivita’ di riciclaggio di denaro con cosa nostra siciliana”, osservano i carabinieri che hanno portato a termine l’operazione.

 MANI STIDDA SU ORTOFRUTTA. PIANO MORTE CONTRO IMPRENDITORI

La Stidda agrigentina aveva messo a punto un progetto di omicidio nei confronti di un imprenditore e di un mediatore. L’episodio rientra nel capitolo dell’indagine riservato al controllo e allo sfruttamento del settore commerciale delle transazioni per la vendita di uva e di altri prodotti ortofrutticoli che in provincia di Agrigento e’ controllato dalla Stidda. Il mediatore e l’imprenditore erano finiti nel mirino per non avere pagato il racket per guadagni realizzati con le loro attivita’.

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