ROMA – In Molise, immersa nel verde del bosco Faiete, sulla sommità del monte Vairano, esiste un polo d’eccellenza nel campo dell’oncologia e delle malattie cardiovascolari. Si tratta della Fondazione Giovanni Paolo II di Campobasso, di proprietà dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma, punto di riferimento per le regioni del centro-meridione ma non solo. Classificata come ente di ricerca e cura ad alta specializzazione, la Fondazione si avvale di un parco tecnologico particolarmente avanzato e in pochi anni di attività (dal 2003, per la precisione) ha ottenuto importanti riconoscimenti. L’ultimo è arrivato dal ministero della Salute: il Piano nazionale esiti 2017 di Agenas, infatti, l’ha collocata al secondo posto in Italia in due tabelle tra le più significative, quelle che riguardano l’intervento di bypass aortocoronarico e la sostituzione valvolare. Per saperne di più l’agenzia Dire ha intervistato il direttore generale della Fondazione, Mario Zappia.
“Al di là delle cifre, questi numeri sono importanti perché danno la valenza dei risultati. Il concetto importante, che noi come management dobbiamo culturalmente acquisire, è che su tutte le nostre attività e competenze dobbiamo poi ‘render conto’ nei fatti al malato, al paziente e all’opinione pubblica. Per questo è importante misurarsi costantemente con i numeri, che non sono vuoti, ma rappresentano persone controllate a distanza con un follow-up in qualsiasi altra struttura sanitaria. Sappiamo che è prezioso non solo il lavoro fatto in sala operatoria o l’intervento in sé, ma soprattutto quello che avverrà dopo; solo a 30 giorni riusciamo infatti ad avere i risultati della terapia, anche in termini di efficacia clinica, che possono essere o meno indice di un buono stato di salute”.
“Intanto non dobbiamo dimenticare che la Fondazione è in Molise, una bellissima regione, che conta però solo 350mila abitanti. Nell’ultimo anno siamo comunque riusciti ad eseguire un buon numero di interventi di cardiochirurgia, esattamente 561, di cui quasi il 50% hanno riguardato pazienti extra-regione. Quando si lavora bene è normale che questo accada; così curiamo persone provenienti da Campania, Lazio, Abruzzo, Puglia, ma anche Calabria, Sicilia e Basilicata. Quanto ai dipendenti, ne abbiamo 420 che lavorano all’interno della struttura con varie mansioni. Insomma, la Fondazione è piccolina, ma è veramente un gioiellino che sorge sul cucuzzolo di una montagna a Campobasso”.
“È quello che bisognerebbe fare e che noi abbiamo iniziato a fare dallo scorso anno. La prima azione da parte nostra è stata un riequilibrio dei conti per evitare dissesti o altre passività; poi abbiamo curato la qualità, ma per mantenerla alta ora c’è bisogno di fare investimenti in tecnologia e nello ‘know how’. Vorremmo in particolare inserire tecniche innovative mini-invasive per quanto riguarda la cardiochirurgia”.
“È ovvio che c’è ancora tanto da fare… Noi abbiamo la fortuna di essere collegati con il Policlinico Gemelli e l’Università Cattolica di Roma, quindi abbiamo professori, ricercatori e studenti con corsi in loco e molte attività di ricerca (sempre per le branche di cui ci occupiamo principalmente, cioè cardiovascolare e oncologico), che stanno avendo una crescita sempre progressiva. E questo è importante, perché ti dà lo stimolo non solo a studiare e a fare ricerca, ma soprattutto a far sì che quella stessa ricerca avvenga nella clinica traslazionale e dunque trasferita direttamente sul paziente”.
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