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Afghanistan, la psicologa: “La comunità internazionale deve riconoscere ciò che è accaduto alle donne”

È la denuncia di Batool Haidari, psicologa della rete femminista Afghanistan Women’s Political Participation Network

Pubblicato:01-12-2022 13:21
Ultimo aggiornamento:01-12-2022 13:25
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Afghanistan Women’s political partecipation network
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ROMA – “La comunità internazionale deve riconoscere ciò che è accaduto alle donne in Afghanistan: apartheid di genere”. È la denuncia di Batool Haidari, psicologa della rete femminista Afghanistan Women’s Political Participation Network, messe in salvo in Italia con la Rete umanitaria della società civile fondata dalla giornalista del TG1 Maria Grazia Mazzola. Testimonianze e denunce alla conferenza stampa a Roma, il 6 dicembre alle 10 presso la sede del Parlamento Europeo, Sala delle Bandiere via IV Novembre 149, alla presenza del Presidente Carlo Corazza. Con la partecipazione della Presidente della Stampa Estera Esma Cakir Presenti gli Ambasciatori che operarono a Kabul.

I talebani hanno condannato le donne dell’Afghanistan alla violenza, allo sfruttamento e alla povertà perché escluse da ogni diritto e dall’istruzione”, incalza un’altra delle donne, Nesa Mohammadi, dottoressa ostetrica. Parlano le donne messe in salvo con le loro famiglie dalla Rete Umanitaria, con i Salesiani per il Sociale di don Francesco Preite, che hanno accolto il numero più alto di profughi, con le Chiese Cristiane Evangeliche Battiste con la FCEI, con i Pastori Giuseppe Miglio e Ivano De Gasperis, la Pastora Antonella Scuderi, con l’accoglienza della cooperativa ‘Una Città non basta’ di Maria Rosaria Calderone e Gianni Caucci, con l’Unione Donne in Italia Responsabili Vittoria Tola e Giulia Potenza, con l’Associazione Federico nel cuore, di Antonella Penati. Una testimonianza di come il bene possa essere contagioso quando tante mani si legano insieme: unità nella diversità per i vulnerabili.

“I talebani sono killer criminali responsabili degli omicidi di bambini, giovani e donne dell’Afghanistan. Noi non negoziamo con i criminali”, denuncia Razia Ehsani Sadat, giornalista di punta dell’AWPPN. Sediqa Moshtaq, membro dell’ex Camera del Commercio nazionale delle donne afghane, accusa: ”Le donne in Aghanistan sono tenute prigioniere in un luogo pietrificato, private della loro identità di genere e dei diritti”. Il 30 agosto 2021 queste donne hanno scritto all’inviata speciale del TG1 un appello disperato: “Salvaci dalla morte, vendetta certa dei talebani”. Costrette a nascondersi in sotterranei per mesi e mesi con le loro bambine per non cadere nelle mani dei terroristi talebani. Settanta profughi sono stati recuperati in un anno dalla Rete Umanitaria della società civile, grazie al sostegno dei ministeri dell’Interno e degli Esteri. Il Gruppo Abele di Don Luigi Ciotti in questi giorni ha accolto altri 7 afghani, una famiglia braccata col bimbo malato di cuore, arrivati pochi giorni fa coi corridoi umanitari di Sant’Egidio, un salvataggio in extremis. Una testimonianza, riferisce la Rete femminista, di quanto possa essere potente il contagio del bene collettivo.


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