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La storia di Anna: “Davide mi ha donato il cuore, oggi ho trovato sua sorella sui social”

Un desiderio comune, gli ostacoli della legge sulla donazione degli organi e il ruolo di Facebook: così Shana ha potuto conoscere la persona che ha ricevuto il cuore del fratello morto in un incidente

Pubblicato:01-10-2022 16:43
Ultimo aggiornamento:01-10-2022 16:46

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ROMA – “Mi chiamo Anna, ho 27 anni e sono una paziente trapiantata di cuore. Sono passati nove anni, da allora, e oggi sto bene. Volevo conoscere la sorella del mio donatore, l’ho trovata, e adesso abbiamo un rapporto speciale“. Poche parole, ma potentissime, pronunciate con garbo e delicatezza da una ragazza seduta tra il pubblico, sono bastate per scuotere gli animi e riaccendere il dibattito, da poco concluso, sulla donazione di organi e sulla legge che ne regola la privacy in Italia. L’occasione è stata la conferenza stampa organizzata due giorni fa a Roma da Reginald Green, il padre di Nicholas Green, il bambino americano di 7 anni rimasto ucciso il 29 settembre 1994 durante un tentativo di rapina sull’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria e i cui organi e cornee furono donati a sette persone (quattro delle quali adolescenti), grazie ad un gesto di solidarietà dei genitori che colpì molto l’opinione pubblica e portò a triplicare nel nostro Paese i tassi di donazione nei dieci anni successivi alla morte del piccolo Nicholas.

IL TUMORE DI ANNA

Ma tornando ad Anna, a cui all’età di nove anni è stato diagnosticato un sarcoma (un tumore raro), non è sola alla conferenza, e la sua storia, segnata da una incredibile coincidenza, è stata raccontata ancora solo per metà: accanto a lei è seduta Shana, una donna di 34 anni, che per conoscere il papà di Nicholas, per lei un gigante di umanità, un giovedì mattina di fine settembre ha deciso di prendere la sua auto e di guidare per due ore da Fondi, una cittadina in provincia di Latina, per raggiungere l’hotel in centro a Roma dove si svolgeva l’evento.

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Shana e Anna con Reginald Green

IL FILO CHE LEGA SHANA AD ANNA

Prende la parola subito dopo Anna, aggiungendo un altro pezzetto ad un puzzle che piano piano si sta ricomponendo davanti ad una platea rimasta attonita e in rispettoso silenzio. “Per me è un grande onore essere qui, ci tenevo a conoscere Reginald – dice Shana – Mio fratello minore Davide aveva 20 anni quando è morto in un incidente stradale e a seguito di questo tragico evento abbiamo deciso di donare i suoi organi. Il suo cuore continua a battere e oggi appartiene ad Anna, che è diventata per me come una sorella”.



LA LEGGE ITALIANA SULLA PRIVACY DELLE DONAZIONI

Ma come hanno fatto Anna e Shana a trovarsi? In Italia, come è noto, a causa della Legge 91 emanata nel 1999 per proteggere la privacy delle parti, è vietato al personale sanitario amministrativo rivelare le generalità del donatore al ricevente. Dunque nel nostro Paese, di fatto, non sono possibili contatti tra le famiglie coinvolte in un trapianto, anche qualora entrambe lo desiderino. Proprio di recente, però, in risposta ad un quesito avanzato dal Centro Nazionale Trapianti (Cnt), il Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb) ha aperto alla possibilità, “trascorso il giusto lasso di tempo” e nella “consapevole disponibilità delle parti interessate”, di superare l’anonimato dei donatori di organi, che vieta appunto alle famiglie dei donatori di conoscere il ricevente.

IL RUOLO DI FACEBOOK

Intanto, Anna e Shana sono andate avanti da sole, camminando con le loro gambe. Ed è a questo punto che arriva il terzo tassello della loro storia: un post pubblicato da Shana su Facebook, poco più di un anno fa, in cui esprimeva il forte desiderio di conoscere la persona che aveva ricevuto il cuore del fratello, è riuscito a raggiungere più di 65mila condivisioni in Italia e all’estero, arrivando anche ad Anna, che all’incirca sei mesi fa si era messa in rete alla ricerca della famiglia del suo donatore.

IL PRIMO INCONTRO IN UN GIORNO SPECIALE

Così, quasi all’improvviso, due vite parallele ma strettamente collegate sono riuscite ad unirsi. E lo hanno fatto, straordinariamente, nel giorno dell’anniversario della morte di Davide, nonché della rinascita di Anna, quando Shana ricevette il suo “dono più grande”, cioè la telefonata di una ragazza che le annunciava di essere lei la persona in cui batteva il cuore del fratello. Un ‘match amoroso’, verrebbe da dire, una moderna corrispondenza di sensi resa possibile dai social, in grado di correre più veloci di alcune leggi, che faticano a rinnovarsi, e che in questa occasione hanno davvero adempiuto al loro intento originario, cioè mettere in rete.

ANNA: “VOLEVO RINGRAZIARE LA FAMIGLIA DEL DONATORE”

“Avevo bisogno di sapere chi era il mio donatore e di conoscere la sua famiglia per poterla ringraziare – racconta Anna alla Dire – anche se non lo potrò mai fare abbastanza, perché aver ricevuto in dono la vita non ha prezzo. Oggi mi sento senz’altro più completa, perché ho trovato una seconda famiglia”. Quanto a Shana, che con fare quasi materno accarezza i capelli di Anna mentre parla, racconta: “Volevo solo che lei sapesse che la stavo cercando, l’avrei aspettata per tutta la vita. Era pronta a ricevere un ‘no’, avevo messo in conto che potesse non essere d’accordo nel conoscermi, ma per fortuna quel richiamo lo abbiamo sentito entrambe”

IL PROGETTO DI DAVIDE

Il cuore di Davide, insomma, non ha mai smesso di battere e oggi vive anche in un progetto che il giovane ragazzo intendeva realizzare, se la cattiva sorte non avesse stroncato così prematuramente la sua vita. A concretizzarlo sono stati i suoi familiari, che nel 2016, rimboccandosi le maniche, hanno creato ‘La Tenuta di Davide’, una fattoria didattica immersa in 5mila ettari di verde nelle campagne laziali. Una tenuta a cui la famiglia di Shana tiene moltissimo e a cui continua a dedicarsi “anima e corpo”.

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Il prossimo capitolo di questa bella storia, infine, potrebbe essere probabilmente un documentario. Perché Anna e Shana, spinte anche dal recente incontro con Reginald Green, hanno trovato il coraggio di far conoscere la loro storia. E vogliono farlo soprattutto perché, un domani, altre storie come la loro possano essere raccontate.

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