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Strage di Bologna, scintille in aula: Picciafuoco fa infuriare Bellini

Le dichiarazioni di Picciafuoco, criminale comune ritenuto vicino all'estrema destra, hanno mandato su tutte le furie l'imputato

Pubblicato:01-10-2021 19:07
Ultimo aggiornamento:01-10-2021 19:07
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BOLOGNA – Scintille, in Corte d’Assise a Bologna, tra Sergio Picciafuoco e Paolo Bellini, imputato per concorso nella strage del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria del capoluogo emiliano. A scatenarle sono state alcune dichiarazioni fatte in aula da Picciafuoco, criminale comune ritenuto vicino all’estrema destra, già assolto in via definitiva dall’accusa di essere stato uno degli esecutori dell’attentato e oggi sentito come testimone assistito.

La deposizione di Picciafuoco, che è arrivato anche a smentire delle dichiarazioni che aveva messo a verbale negli anni ’80, è stata caratterizzata da un atteggiamento che ha finito per irritare anche il presidente della Corte, Francesco Caruso. Il testimone ha infatti esordito contraddicendo una relazione della Questura di Reggio Emilia del 22 ottobre 1990, in cui viene ricostruito un incontro tra lui e Bellini avvenuto 10 giorni prima. Incontro nel quale, durante un pranzo al ristorante dopo un giro in auto, Picciafuoco chiese a Bellini di prestargli dei soldi e di procurargli una pistola. Il testimone ha invece sostenuto di aver conosciuto l’imputato solo in carcere e di aver scambiato con lui poche parole. Queste dichiarazioni hanno portato Caruso ad avvisare Picciafuoco, avviso ribadito anche in seguito, del rischio di essere indagato per falsa testimonianza. “La devo ammonire- ha infatti detto il presidente- che per la Corte sta mentendo, e se continua interromperò l’esame e manderò gli atti alla Procura”.

Picciafuoco, comunque, non ha cambiato versione, ribadendo a più riprese di non essere mai stato a Reggio Emilia. Il testimone ha poi sottolineato più volte che Bellini è un collaboratore di giustizia, e quando Caruso gliene ha chiesto il motivo ha dichiarato che “a volte i collaboratori sono stati utili, ma in altri casi hanno detto menzogne pazzesche”. Quando, poi, Picciafuoco ha affermato che “Bellini ha detto che è un mio amico, ma non è un mio amico”, l’imputato è andato su tutte le furie, accusandolo di essere un provocatore.


Una volta che il teste è uscito dall’aula, l’imputato ha chiesto la parola e, pur riconoscendo di aver effettivamente conosciuto Picciafuoco in carcere, ha aggiunto che il testimone “venne due volte a Reggio Emilia”. Nel primo caso, ha affermato Bellini, “non mi trovò e passo una notte nell’albergo di mia madre”, mentre la seconda volta, il 12 ottobre 1990, “abbiamo pranzato insieme”, come documentato anche dalla relazione della Questura reggiana. In quell’occasione, ha spiegato l’imputato, “Picciafuoco si comportò come un grande provocatore, perché venne da me a chiedermi dei soldi e una pistola”, e al suo rifiuto “cominciò a fare il pazzo”.

A quel punto, ha proseguito Bellini, “io, che avevo con me una pistola, volevo portarlo in campagna per sistemarlo, ma poi cambiai idea“. Infine, l’imputato ha detto di aver telefonato, in seguito, alla sorella di Picciafuoco e di averle detto che il fratello “non doveva più farsi vedere”. 

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