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‘Protocollo Napoli’: “Fermare gli allontamenti dei minori per ‘comportamenti alienanti'”

"Sulla bigenitorialità come diritto- evidenziano le psicologhe- ribadiamo che le leggi in vigore e le convenzioni internazionali sul diritto dei minori non individuano la bigenitorialità come un diritto primario e incontrovertibile del minore e/o degli adulti"

Pubblicato:01-10-2020 05:28
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:58
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ROMA – ‘Il negazionismo che attraversa il Memorandum riguarda sia il maltrattamento assistito, sia il suo presupposto, ovvero la violenza contro le donne che coinvolge il 30% delle donne che vivono in coppia (WHO, 2013)’. E’ la risposta durissima al Memorandum degli psicologi forensi e alle dichiarazioni del primo firmatario, Guglielmo Gullotta, del ‘Protocollo Napoli‘ deliberato dall’Ordine degli psicologi della Campania e approvato dall’ordine Nazionale- rappresentato da Caterina Arcidiacono, Antonella Bozzaotra, Gabriella Ferrari Bravo, Elvira Reale ed Ester Ricciardelli- che indirizza al Consiglio Nazionale dell’ Ordine degli Psicologi; alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici; al Consiglio Nazionale Ordine degli Assistenti Sociali; al Consiglio Nazionale Forense e al CSM la propria missiva, con la richiesta di ‘censura’ del documento. ‘Tale negazionismo, gravissimo per chi abita le aule dei tribunali e dovrebbe conoscere dati, leggi e convenzioni, porta i sottoscrittori del Memorandum- spiegano le psicologhe attive per il riconoscimento della violenza assistita nella normativa sugli affidi dei minori- a paragonare addirittura alle Brigate rosse donne, associazioni e le stesse istituzioni che si occupano di violenza contro le donne e di vittimizzazione primaria e secondaria – in linea con la Convenzione di Istanbul e con la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato’.

‘Sulla bigenitorialità come diritto- evidenziano le psicologhe del Protocollo Napoli- ribadiamo che le leggi in vigore e le convenzioni internazionali sul diritto dei minori non individuano la bigenitorialità come un diritto primario e incontrovertibile del minore e/o degli adulti bensì come un diritto che trova il suo limite nei pregiudizi che il suo esercizio può arrecare al minore. Tra questi pregiudizi è essenziale inserire gli esiti sulla salute dei figli derivati- secondo l’OMS e i maggiori organismi internazionali- dal maltrattamento assistito, conseguente al maltrattamento e alla violenza sulle madri. Non esiste, al contrario, alcun danno evidente (altrimenti la legge l’avrebbe previsto) derivante dall’affido esclusivo e dal venire meno al principio della bigenitorialità, quando esso crea pregiudizi al minore. Al contrario, le convenzioni internazionali hanno previsto il danno sui minori nel caso della violenza sulle donne. Non si tratta, purtroppo, di casi eccezionali visto che l’OMS parla della violenza sulle donne come ‘epidemia’.In caso di maltrattamento assistito è necessario ricorrere, senza se e senza ma, all’affido esclusivo (o altra misura di tutela per la coppia madre-bambino) in capo alla madre vittima di violenza (art. 26, 31 e 56 a della Convenzione di Istanbul). La definizione di genitore ostile, malevolo e alienante– continuano- è un concetto inapplicabile in caso di violenza perché delegittima alla radice il ricorso agli articoli del codice civile di cui abbiamo parlato, che prevedono l’affido esclusivo in caso di pregiudizi derivanti proprio dall’applicazione del cosiddetto diritto alla bigenitorialità’. Il Protocollo Napoli segnala ‘il paradosso per il quale una donna che abbia denunciato una violenza o abbia descritto con prove documentali una storia di violenza – quando chiede l’affido esclusivo o altra misura di protezione, è immediatamente individuata come ‘genitore non amichevole’. In Italia il criterio dell’accesso come condizione dirimente per l’affido dei figli ha preso piede alla promulgazione della legge ’54/2006 tra gli psicologi forensi italiani (cfr. Gulotta, Camerini, De Leo, Visentini etc.) ed è stato inserito in una lunga lista d’indicatori di valutazione di una presunta ‘buona genitorialità’ che ruotano, per la massima parte, intorno a principi della psicologia dinamica e relazionale. Il non adeguamento al criterio dell’accesso, il ‘disallineamento’ del minore al padre, diviene allora la prova provata di un sentimento alienante. Ma poiché nelle CTU il criterio dell’accesso è quello che determina la risposta finale al quesito del genitore da preferire nell’affido del minore (insieme a presunti profili di personalità che non risultano sul piano scientifico correlabili a un profilo di genitorialità idoneo/inidoneo),ne risulta che l’opinione del CTU, tarato sul criterio dell’accesso, rifluisca nella sua interezza nelle sentenze’. 

Quanto al tema della PAS (alienazione parentale ‘oggi- aggiungono le psicologhe- non si parla più di ‘sindrome’ o ‘patologia’ ma di ‘comportamenti alienanti’ alla stregua dello stalking e del mobbing. Ebbene alla base dello stalking e del mobbing, comportamenti fattuali dimostrabili, non ci sono malattie, interpretazioni psicologiche e profili di personalità che debbano accertare l’esistenza dei fatti. I comportamenti lesivi si accertano con attività istruttorie, testimonianze e prove, e non con gli strumenti interpretativi delle scienze psicologiche che si sovrappongono e addirittura si sostituiscono alla valutazione del giudice. Se dunque, com’è stato affermato, non si parla più di PAS come malattia allora il ruolo degli psicologi e degli psichiatri nei procedimenti per l’affido va drasticamente ridimensionato. Questo cambiamento di prospettiva, tuttavia, è solo formale. Infatti, i presupposti e le conseguenze trattamentali di questa ‘sindrome’ non riconosciuta sopravvivono tal quali nelle consulenze. Il trattamento previsto, in queste ‘buone prassi giudiziarie’ in linea con la teoria di Gardner sulla PAS (sindrome che nel Memorandum tuttavia si dichiara essere inesistente), è rappresentato dall’immediato allontanamento del bambino dal genitore collocatario (in genere la madre), in caso di rifiuto persistente del bambino verso il genitore non collocatario (in genere il padre) con, se necessario, una fase di transizione presso una struttura in cui essere collocato senza poter più accedere al genitore con cui fino a quel momento è vissuto (in genere la madre). Si tratta di un trattamento altamente traumatico- denuncia il Protocollo Napoli- spesso accompagnato da raccomandazioni sulla necessaria presenza di forze dell’ordine in previsione di ostacoli e resistenze all’allontanamento forzato, assimilabile a una gravissima violenza fisica e psicologica, inferta in piena consapevolezza. È difficile comprendere come mai la magistratura, conceda e autorizzi sempre più di frequente la messa in atto di un simile trattamento, laddove esso dovrebbe essere previsto solo in casi eccezionali e alla presenza di rischi gravissimi, per salvaguardare il diritto alla vita e alla salute del bambino da un pericolo certo e imminente. Al contrario, questo trattamento è proposto quasi fosse di routine, e giustificato da un ‘rischio evolutivo’ ipotetico, che deriverebbe dalla mancata relazione con il padre’. Continuano le psicologhe: ‘A queste distorsioni del campo giudiziario è necessario rispondere’ e fermare questa deriva di allontanamenti derivanti da queste consulenze. ‘La recente costituzione di un gruppo tecnico – nominato dalla Commissione femminicidio e contrasto della violenza sulle donne – per il riesame di più di 500 casi di affido da approfondire, e in generale una più attenta sorveglianza da parte degli organismi di autocontrollo della magistratura, vanno a nostro parere nella giusta direzione. E i firmatari del Memorandum, invece, non perdono l’occasione per bacchettare la Presidente della Commissione femminicidio quando scrivono: ‘Affermare dunque che la violenza indiretta sia equivalente a quella diretta non è solo un errore concettuale, ma è pericoloso per le sue conseguenze sotto il profilo della funzione deterrente: se, ad esempio, picchiare la moglie davanti al figlio equivale a picchiare anche il figlio, allora tanto vale estendere a quest’ultimo la stessa condotta’. E’ chiaro- concludono- che questo è un tentativo di negare gli effetti patogeni del maltrattamento assistito‘.


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