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Dalla nostra inviata Lucrezia Leombruni
LIDO DI VENEZIA – Il secondo giorno della 79esima Mostra del Cinema di Venezia si apre sotto il segno della musica con ‘Tàr’ di Cate Blanchett e dei sogni con ‘Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades’ del cinque volte premio Oscar Alejandro González Iñárritu. Il film Netflix – al cinema e poi dal 16 dicembre in streaming – racconta una storia onirica e surreale che tocca le corde della vita del regista, che non definisce questa storia “autobiografica, la verità è noiosa, ma si tratta di autofiction. Tutto nella vita è così, il mondo è talmente di finzione che la realtà non esiste più. Esiste il tentativo di creare delle narrazioni e di dare un senso ai ricordi degli eventi che noi abbiamo vissuto e possono essere interpretati in base alla propria cultura. Questo film non parla direttamente di me, a chi importerebbe? Ma ho cercato di identificare eventi, aneddoti, sogni e paura che mi hanno formato da quando ho lasciato il Messico”. Precisamente ventuno anni fa, l’1 settembre del 2001, il regista e la sua famiglia hanno lasciato il Paese per andare negli Stati Uniti.
Dopo aver realizzato ‘Amores perros’ “ho avuto l’opportunità- ha raccontato Inarritu- di andare a lavorare negli USA ma non sono un immigrato di prima classe. Non sono lo stereotipo del migrante che abbiamo in testa. Io sono negli USA da 20 anni, ho scelto di lasciare. Non sono stato costretto, per fame o per lavoro, a migrare in un altro Paese. Sono un privilegiato. Ma quando si lascia la propria terra quell’assenza ti rincorre ogni giorno. Il Messico non è un Paese ma uno stato mentale e questo vale per ogni Paese. Il film è l’interpretazione di questo ricordo”. E il regista lo fa attraverso Silverio, noto giornalista e documentarista messicano che vive a Los Angeles. L’uomo, dopo aver ricevuto un prestigioso riconoscimento internazionale, è costretto a tornare nel suo Paese natale, ignaro che questo semplice viaggio lo spinge verso una profonda crisi esistenziale. La follia dei suoi ricordi e delle sue paure riesce a perforare il presente, riempiendo i suoi giorni di un senso di sconcerto e stupore. Durante la conferenza, Inarritu ha ammesso di vivere in un ‘bardo’, ovvero un limbo. “In America sono messicano e in Messico sono americano”. Nel film c’è anche la storia di un Paese che deve fare i conti con l’America: si immagina che Amazon acquisti la Baja California. “È una realtà che vivremo presto. Credo che le multinazionali siano più ricche delle nazioni. Potremmo tornare al feudalismo. Si pensi a Walmart (la catena di negozi, ndr), ha 3 milioni di dipendenti”. Questo film non arriva a caso. Per il regista è tempo di bilanci: “Sono alla vigilia dei miei 60 anni, rifletto molto e dal 2012 faccio meditazione con un monaco vietnamita, mi aiuta a vedere con distacco le cose e ad accettarmi“, ha raccontato Inarritu. Il successo “per me è agrodolce. Non mi voglio lamentare, sono in una posizione privilegiata ma al tempo stesso finisci per avere tanti obblighi e aspettative. Il successo ha anche un costo: ovvero passare poco tempo con la tua famiglia. Il tempo va veloce e hai la sensazione che ti stia perdendo qualcosa. C’è un po’ di rimpianto, che ti porti dietro invecchiando“. Se si parla di sogni non si può non far riferimento al nostro Federico Fellini, che il regista omaggia nel suo nuovo film (a 7 anni da ‘The Revenant’, che valse l’Oscar a Leonardo Di Caprio): “Non credo che esista un regista che non sia stato influenzato da Fellini, come non esiste un musicista che non sia stato contagiato da Mozart. Lui è l’essenza del cinema come Luis Buñuel o Alejandro Jodorowsky. Loro ci hanno aiutato a capire come il cinema e il sogno abbiano la stessa essenza. Spero che ‘San Fellini’ mi abbia protetto”.
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