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VIDEO | Lo psicologo: “I ragazzi temono ritorno a scuola, si sentono insicuri”

Castelbianco: Con lockdown aumentati studenti che non vogliono uscire

Pubblicato:01-09-2020 15:22
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 19:49

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ROMA – “Nel periodo del lockdown un numero impressionante di ragazzi era contento di non andare a scuola, ora sono moltissimi quelli che non vogliono tornarci. I giornali l’hanno definita ‘sindrome della capanna’, ossia la paura di uscire di casa ma tanto e’ anche il timore di tornare negli istituti. Sono ragazzi che hanno vissuto o vivono brutte esperienze con i loro coetanei”.

Federico Bianchi di Castelbianco, direttore dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), traccia un affresco della realta’ contemporanea a partire dalla considerazione che “i ragazzi non si sentono sicuri”.


Il contesto e’ la prima serata di ‘Frammenti di Attualita”, manifestazione che unisce rappresentazioni teatrali su temi d’attualita’ e interventi di esperti, in programma a Cori (LT) fino al 3 settembre. ‘Bullismo: come riconoscerlo?’, il tema della prima serata, condotta da Michele Cucuzza, a cui Castelbiano ha partecipato insieme a Stefano Peiretti, consulente informatico, docente e formatore oltre che autore del libro ‘#CrediInTe’ edito da Aracne; Giovanna Pini, presidente del Centro Nazionale Contro il Bullismo BULLI STOP, e Teresa Manes, attivista nelle campagne di prevenzione e contrasto del bullismo e cyber bullismo.

La paura di cui parla lo psicoterapeuta dell’eta’ evolutiva non e’ quella del Coronavirus (seppur, secondo un sondaggio condotto dall’Osservatorio Europeo sulla sicurezza e ripreso oggi dal quotidiano La Repubblica, i piu’ preoccupati del contagio sono proprio i giovani e gli studenti) ma e’ il timore di subire aggressioni. “Qualche anno fa- spiega il direttore dell’IdO- insieme all’universita’ abbiamo condotto una ricerca per capire in che contesto i giovani temessero di piu’ di subire comportamenti aggressivi.

Il 16% ha citato la strada ma ben il 34% ha parlato della scuola”. Una realta’ che l’IdO fotografa quotidianamente grazie ai suoi sportelli d’ascolto: “Riceviamo tra i 5.000 e i 7.000 contatti al giorno con richieste di aiuto o domande- specifica Castelbianco- ed e’ un numero che cresce”.

La rottura, secondo lo psicoterapeuta, e’ nel rapporto tra giovani e adulti. “Andando in giro per le scuole di tutta Italia con i nostri progetti, ci siamo resi conto che c’e’ una frattura. Noi adulti non siamo in grado di ascoltare i giovani, abbiamo dei ritmi di vita che ci portano a non essere piu’ comprensivi nei confronti dell’altro, di quello che gli accade ma cerchiamo subito di delegare. I ragazzi sono disperati ma non parlano, non dicono una parola”.

I dati dell’Istituto lo confermano: “Secondo una ricerca condotta qualche tempo fa, solo il 7% dei giovani si rivolge ai genitori e il 12% ai docenti. Il resto preferisce parlare con internet o con i propri coetanei”. Dietro c’e’ l’analisi di una societa’ che non sa piu’ dare principi educativi forti. “Siamo passati dalle lotte del ’68 contro l’autoritarismo esagerato, alla societa’ affettiva di oggi dove non c’e’ presa di coscienza e di posizione.

La verita’- dice il direttore dell’IdO- e’ che noi abbiamo difficolta’ ad accettare di aver fatto tanti errori e che ora di questi errori ne stiamo in qualche modo pagando le conseguenze”.

Ma chi e’ il ‘bullo’ oggi? “Non e’ piu’ il ragazzo grande, grosso e ripetente che, in stile libro Cuore, ruba la merenda. Ma sono giovani violenti, arrabbiati. E questa rabbia si manifesta a un’eta’ sempre piu’ bassa. Anni fa ci chiamavano nelle scuole superiori, oggi ci chiamano addirittura negli asili nido per fare corsi agli insegnanti.

E la matrice dell’aggressivita’ che cresce fino alla violenza e’ proprio questo sentimento di rabbia che i bambini manifestano gia’ a 2 anni, perche’ magari sono stati lasciati al nido a 6 mesi dalla mamma che e’ dovuta tornare al lavoro. Se non capiamo cos’e’ questo sentimento di rabbia, non possiamo capire chi e’ il bullo”.

La strada da percorrere, secondo lo psicoterapeuta, e’ quella di “impegnarsi a recuperare un rapporto con i ragazzi, con i propri figli, conoscerli e farsi conoscere per far si’ che nel momento in cui hanno un problema lo raccontino in famiglia”.

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