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ROMA – Aung San Suu Kyi, 78 anni, è tra i 7mila detenuti che la giunta militare del Myanmar ha deciso di graziare in occasione della Quaresima buddhista, una festa religiosa celebrata nel Paese. L’annuncio è stato dato in un messaggio televisivo stamani. La leader de facto del governo rovesciato col colpo di Stato del febbraio 2021 è stata graziata però “in modo parziale”, come ha spiegato un portavoce del Consiglio amministrativo dello Stato – il titolo con cui i militari indicano la giunta – “in virtù della legge per i diritti umani”, e che “la pena è stata ridotta di 6 anni”.
A inizio anno, Suu Kyi è stata condannata a 33 anni di carcere per diversi reati tra cui quello di corruzione e violazione delle restrizioni durante la pandemia di Covid-19. Accuse che, secondo il suo partito e vari movimenti per i diritti umani birmani, sono state fabbricate appositamente per eliminare Aung dalla vita politica del Paese. Un legale alla stampa internazionale ha spiegato che la leader della Lega per la democrazia, il partito che guidava il paese fino al golpe del 2021, “non ha potuto essere completamente rilasciata anche se alcune condanne contro di lei sono state condonate. Deve ancora affrontare quattordici processi. Solo cinque casi su diciannove sono decaduti”.
Ieri, alla vigilia della grazia parziale, sui media ha iniziato a circolare la notizia del trasferimento della politica dalla prigione a un edificio residenziale nella capitale Naypyidaw, dove sconterà gli arresti domiciliari. La mossa giunge anche all’indomani di un’altra novità: ieri la giunta ha esteso per altri sei mesi lo Stato d’emergenza, suscitando la reazione degli Stati Uniti, che tramite il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller hanno espresso “profonda preoccupazione” per una decisione “che arriva mentre il regime fa sprofondare il paese nella violenza e nell’instabilità”. Tale proroga determina anche un ritardo nelle elezioni che la giunta militare si era impegnata ad organizzare ad agosto.
Miller ha aggiunto: “Da quando ha rovesciato un governo eletto democraticamente due anni e mezzo fa, il regime militare ha effettuato centinaia di attacchi aerei, bruciato decine di migliaia di case e sfollato più di 1,6 milioni di persone. La brutalità e il disprezzo del regime per le aspirazioni democratiche del popolo birmano continuano a prolungare la crisi. Gli Stati Uniti- ha concluso il portavoce- continueranno a lavorare con i nostri partner e alleati per applicare strumenti politici ed economici affinché il regime risponda dei suoi atti davanti alla giustizia”. Il mese scorso, Washington ha imposto sanzioni contro il Ministero della Difesa e su due banche statali “controllate dal regime”, la Myanma Foreign Trade Bank e la Myanma Investment and Commercial Bank.
Le violenze a cui Miller fa riferimento sono i combattimenti coi diversi gruppi armati attivi nel Paese, scoppiati con l’esercito subito dopo il ritorno dei militari al potete. È di ieri la notizia di una donna di 60 anni morta in un bombardamento dell’esercito contro un villaggio nello stato di Shan, in cui la nipote di 16 anni è rimasta gravemente ferita. Sempre ieri, un’autobomba nei pressi di un checkpoint nello stato di Karen ha causato il ferimento di tredici persone, di cui una ha perso la vita. Si tratta delle regioni più calde, dove ha perso la vita la maggior parte dei 3.800 morti calcolati dalle organizzazioni che monitorano le violenze dal golpe del 2021 citate dalle testate locali.
“L’amnistia parziale che riguarda Aung San Suu Kyi e il Presidente U Win Myint, e alcuni altri detenuti in Myanmar, è un primo segnale di cedimento da parte dei militari. In realtà oggi Aung San Suu Kyi risulta ancora nel carcere di Naypyidaw, e altre ingiuste condanne la costringono agli arresti. Nel frattempo in queste ore continuano gli attacchi e i bombardamenti dei militari in diversi luoghi del Paese”. Così dichiara in una nota Albertina Soliani, presidente dell’Istituto Alcide Cervi ed ex presidente dell’Associazione Parlamentare “Amici della Birmania”. Secondo Soliani “Il gesto della parziale amnistia coincide con la data del 1° di agosto, l’inizio del semestre di transizione e di una festività buddhista. L’Occidente, l’Unione Europea, la comunità internazionale dovrebbero chiedere l’immediata liberazione di Aung San Suu Kyi, l’apertura di un dialogo nazionale per il ripristino della democrazia e la fine del ruolo politico dei militari”.
La dirigente ha inoltre chiesto: “Non manchi il sostegno del mondo al popolo coraggioso del Myanmar, all’impegno coraggioso di Aung San Suu Kyi per il cambiamento nel suo Paese. La comunità internazionale e le Nazioni Unite mettano in campo una strategia che favorisca il dialogo e la cessazione della violenza. Attendiamo ulteriori buone notizie, ma soprattutto un impegno responsabile delle organizzazioni internazionali, dei media e dell’opinione pubblica che non possono limitarsi a
registrare le notizie che giungono dal Myanmar, e a diffonderle con la solita superficialità”.
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