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La testimonianza della reporter: “Impossibile entrare in Sudan, civili lasciati soli”

La cronista freelance Sara Creta dall'Etiopia: "Non dobbiamo permettere il buio dell'informazione"

Pubblicato:01-06-2023 13:52
Ultimo aggiornamento:01-06-2023 14:07

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(Foto credits Sara Creta)

ROMA – “Il Sudan, come del resto l’intera regione, è un buco nero dell’informazione: a differenza della guerra in Ucraina seguita da decine di giornalisti sul terreno, qui i media non riescono ad arrivare. Da un lato, sembra che il tema non interessi l’Europa, dall’altro le autorità sudanesi non lasciano entrare nessuno, e questo fa aumentare il rischio che la popolazione sia esposta a abusi e violenze nel silenzio generale”. Sara Creta è una giornalista freelance e documentarista, e con l’agenzia Dire parla da Addis Abeba, la capitale della vicina Etiopia che dal 15 aprile riceve centinaia di profughi al giorno dal Sudan travolto dalle violenze.

OLTRE UN MESE E MEZZO DI COMBATTIMENTI

A pagare il costo del conflitto tra esercito e paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) sono i civili: attività economiche paralizzate, disponibilità dei beni alimentari e del carburante che si sta riducendo in fretta, mentre i prezzi continuano a salire. Per la società civile le cose non vanno meglio: ieri è stato arrestato Alaa Nogod, medico e noto oppositore della giunta militare salita al potere dopo il colpo di stato dell’ottobre 2021. Il dottore è anche tra gli attivisti più in vista della Sudanese Professionals Association, organismo in prima linea durante le proteste del 2019 che invocavano riforme democratiche, e si conclusero in un nulla di fatto, dopo l’intervento dei militari che deposero il presidente Omar Al-Bashir. Stando alla testimonianza della madre e del fratello di Nogod, sabato scorso un commando di dieci uomini che si sarebbero identificati come esponenti dell’intelligence militare, ha fatto irruzione in casa sua, picchiando e portando via l’uomo.


L’appartamento è stato poi perquisito, confiscati laptop e smartphone e vari documenti del dissidente.
In Sudan più in generale si sta diffondendo un clima di paura, con giornalisti e attivisti che temono di essere arrestati anche alla frontiera, nel tentativo di lasciare il Paese: “Ai checkpoint in uscita- riferisce Creta- i militari interrogano le persone: gli chiedono perché lascino il paese, dove siano dirette e poi controllano documenti e smartphone”. E le violenze purtroppo non sembrano destinate a finire presto: è di queste ore la notizia, trapelata dalla stampa internazionale, del probabile ritiro dell’esercito dal tavolo dei negoziati di Gedda, promosso da Stati Uniti e Arabia Saudita per spingere i militari a raggiungere un cessate il fuoco coi paramilitari, che intanto controllano buona parte della capitale Khartoum. Ancora oggi il generale Abdel Fattah Al-Burhan ha minacciato “l’uso della forza letale” per riconquistarla.
In questo quadro, prosegue Creta, “le autorità non solo hanno praticamente azzerato i visti d’ingresso per i giornalisti, ma imposto restrizioni alla mobilità anche agli umanitari presenti nel Paese, compresi quelli delle agenzie Onu”. Anche per gli stessi sudanesi “è impossibile entrare a Khartoum.

31MILA PERSONE HANNO RAGGIUNTO L’ETIOPIA

Dal Paese, però, sta diventando impossibile anche uscire: “Il carburante costa e per viaggiare servono somme esorbitanti” riferisce la giornalista. Solo in Etiopia secondo stime dell’Onu, in un mese e mezzo sono entrate 31mila persone, “ma con mille chilometri di frontiera comune, le cifre reali potrebbero essere molto più alte” aggiunge Creta, chiarendo che chi riesce a fuggire “ha denaro per farlo. Gli altri restano intrappolati”.

TUTTI I RISPARMI IN UNA STANZA D’ALBERGO

Cita poi il tema delle centinaia di migliaia di rifugiati somali ed eritrei in Sudan, anche loro costretti alla fuga: “Almeno 6mila hanno raggiunto l’Etiopia. Unhcr e Oim stanno allestendo nuovi campi profughi ma tanti si rifiutano di andarci, perché parliamo di persone che vivevano in Sudan da anni e si erano costruiti una vita, aprendo negozi studiando, trovando un impiego. Ora non accettano di andare nel limbo dei campi e vorrebbero proseguire il viaggio verso altri Paesi. In Etiopia stanno affitando stanze d’albergo o piccoli appartamenti coi pochi risparmi che hanno, ma quando termineranno che accadrà?” si chiede la giornalista, che conclude ricordando che tutto questo avviene nel silenzio dei governi europei, che all’indomani del 15 aprile hanno evacuato ambasciate e connazionali in pochi giorni: “Così si è lasciata la popolazione da sola, ma l’Europa dovrebbe capire che anche la stabilità di questa regione ci riguarda”, conclude.

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