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I ‘basagliani’ di Trieste: “Abolire l’incapacità di intendere e di volere”

Il Garante dei diritti dei detenuti di Udine, Franco Corleone: "Oggi si proscioglie dal reato, ma si condanna alla Rems"

Pubblicato:01-06-2022 16:26
Ultimo aggiornamento:01-06-2022 16:26

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TRIESTE – La persona disabile psicosociale deve poter rispondere dei reati davanti alla giustizia, perché la responsabilità è terapeutica. Ma l’entità e l’esecuzione della pena, che deve tendere alla rieducazione, devono essere commisurate e coerenti con la disabilità, rispettando il percorso di cura terapeutico. Insomma, bisogna abolire l’incapacità di intendere e volere, specie se “momentanea”, con cui la persona viene prosciolta per poi, tecnicamente innocente, essere rinchiusa per trenta anni in una Rems (Residenza per l’esecuzione di misure di sicurezza), perché un singolo perito, al di sopra del collegio di giudici, ha definito la persona “socialmente pericolosa”. È il riferimento per nulla velato al caso recentemente concluso di Alejandro Meran, che ha ucciso i poliziotti triestini Matteo Demenego e Pierluigi Rotta, quello di Franco Corleone, Garante dei diritti di detenuti di Udine, già segretario alla giustizia, e componente dell’Osservatorio per la chiusura degli Opg (Ospedali psichiatrici giudiziari).

Assieme a Giovanna Del Giudice della conferenza Salute mentale Franco Basaglia e agli psichiatri triestini Franco Rotelli e Peppe Dell’Acqua, del fondo Salute mentale, Corleone presenta la proposta di legge del deputato di +Europa, Riccardo Magi, in materia di “imputabilità e misure alternative alla detenzione per le persone con disabilità psicosociale“, depositata l’11 marzo dell’anno scorso.

È un nuovo tentativo, aggiornato, che dura dagli anni Novanta, spiega Corleone, con cui si cerca di estendere la riforma della psichiatria di Basaglia anche nell’ambito della giustizia. Come per l’inserimento sociale tramite il lavoro, qui si vuole restituire la responsabilità penale alla persona disabile psicosociale, rimuovendo lo stigma della “diversità”, e riconoscendo il diritto alla cura in carcere anche per questo tipo di malattie, come già avviene per le altre. La proposta parte dall’abolizione degli articoli del codice penale, vecchio di 91 anni, evidenzia Del Giudice, che definiscono l’infermità mentale, la sua non imputabilità, lo sconto di pena per incapacità di intendere e volere, il ricovero obbligatorio nelle Rems per i disabili psichici, i “socialmente pericolosi” non imputabili e colpevoli di reati per “ubriachezza abituale”.


Poi però è prevista l’istituzione del Dipartimento di salute mentale in ogni penitenziario, e misure di custodia alternative al carcere per i disabili psicosociali. Queste possono essere anche momentanee, temporanee, o per sopravvenuta disabilità durante l’esecuzione della pena, sempre funzionale alla cura della persona. Insomma, in un percorso di responsabilizzazione e integrazione sociale, secondo il pdl Magi, l’infermità e l’incapacità diventano attenuanti e non più “non imputabili”, cosa che ora mette la persona disabile ai margini della società anche nel contesto penale.

In continuità con il processo iniziato nel ’78, e contro tendenze politiche e sociali attuali che vogliono invece un ritorno alla segregazione dei “diversi”, oggi la psichiatria vuole uscire dall’aula di giustizia e occuparsi della cura dei pazienti, sintetizza Del Giudice. Ma soprattutto non si vuole permettere che le Rems diventino dei piccoli Opg dove si rinchiudono persone che non possono essere condannate. Anche perché, aggiunge Dell’Acqua, non vi è alcun valore scientifico in concetti come “incapacità di intendere e volere momentanea”, valutazione che il giudice chiede al perito (psichiatra), ma che avviene a mesi, anni di distanza dai fatti, basata su interpretazioni soggettive costruite su discipline e scuole di pensiero scientificamente opinabili, pressioni professionali, sociali, mediatiche, morali. Così come non è scientifico il giudizio di “pericolosità sociale” che invece viene proiettato nel futuro, per decenni, da parte del perito, convinto di poter dare una valutazione misurabile e oggettiva, che però non c’è mai, conclude Dell’Acqua.

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