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Vaccino, commissaria azienda ospedaliera Cosenza: “600 dosi giornaliere con ampliamento centri”

Raggiunta telefonicamente dall'agenzia Dire Isabella Mastrobuono delinea un primo bilancio della sua attività indicando a che punto è la campagna vaccinale e quali sono le priorità in agenda

Pubblicato:01-04-2021 13:17
Ultimo aggiornamento:01-04-2021 13:17

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ROMA – Da qualche mese alla guida dell’Azienda ospedaliera di Cosenza, appena il tempo necessario a una manager d’esperienza come lei per individuare le criticità su cui agire.
Si tratta della professoressa Isabella Mastrobuono, commissario straordinario presso l’Azienda ospedaliera ‘Santa Annunziata’ di Cosenza, raggiunta telefonicamente dall’agenzia Dire per fare un primo bilancio della sua attività, capire a che punto è la campagna vaccinale, quali sono le priorità in agenda e se c’è una ricetta valida per recuperare tutte le prestazioni non Covid che sono venute a mancare durante tutto questo anno di pandemia.

Lei è in carica da circa due mesi e mezzo. Qual è la situazione che ha trovato? È già in grado di fare un primo bilancio di questo periodo a Cosenza?

“La situazione che ho trovato è quella di una Azienda ospedaliera di rilievo nazionale, hub per molte specialità di rilevanza regionale, individuata anche per accogliere pazienti Covid e ciò ha avuto grandi ripercussioni sulle attività non emergenziali. Come è successo altrove, anche da noi purtroppo, nel 2020 sono stati registrati circa 6mila ricoveri in meno rispetto al 2019 e quasi 400mila prestazioni ambulatoriali in meno. Questo è stato uno dei primi aspetti su cui ci siamo confrontati con il Collegio di direzione alla presenza dei direttori di Dipartimento. Oltre alle prestazioni non erogate, che rappresentano l’emergenza nell’emergenza, tanti sono i problemi relativi alla mancanza di una governance globale e di una costruzione di una responsabilità diffusa sia a livello amministrativo che sanitario. Dunque appena arrivata ho avviato una grande azione di ascolto e di collegamento tra la parte sanitaria e quella amministrativa. Si è creata una atmosfera nuova di collaborazione, sono state poste le basi per affrontare le grandi tematiche del momento, dalla gestione dell’emergenza Covid a quella dei casi non Covid, alla ripresa delle attività ambulatoriali e di ricovero sospese”.

Quali sono state e sono tutt’oggi le priorità nella sua agenda?

“Le priorità in senso assoluto sono rappresentate in questo momento dalla gestione della recrudescenza dei casi Covid in condivisione con il territorio. È fondamentale il dialogo con le strutture sul territorio e in particolare con i piccoli ospedali dell’Asp di Cosenza. La seconda priorità sono le vaccinazioni che vengono effettuate dall’ospedale di Cosenza che dispone di due centri vaccinali: uno che utilizza il vaccino Pfizer per i fragili, pazienti vulnerabili dell’Azienda stessa, mentre il secondo centro vaccinale è localizzato in un ospedale da campo in cui si somministra il vaccino di Astrazeneca. Con questo vaccino abbiamo immunizzato tutte le forze dell’ordine e ora si sta vaccinando la classe degli insegnanti. Grazie a una operazione di comunicazione straordinaria le defezioni sono state molto poche con Astrazeneca. Stiamo viaggiando tra le 250-300 vaccinazioni al giorno, che porteremo a oltre 600 con l’apertura di centri vaccinali più capienti. Entrambi i centri lavorano a pieno regime e presto saranno inseriti nel portale regionale per ‘aprirsi’ anche ai pazienti esterni. La terza priorità è il recupero delle prestazioni non erogate durante tutto il 2020 per dare risposte a bisogni che sono fondamentali per la popolazione di Cosenza, e questo attraverso un aumento delle attività delle sale operatorie e con una riapertura graduale e in sicurezza degli ambulatori”.


Quindi se ho capito bene tutti anche i pazienti oncologici e trapiantati sono già stati vaccinati dalla sua Azienda?

“Sì, i malati oncologici che afferiscono all’azienda ospedaliera di Cosenza sono stati quasi tutti vaccinati. La nostra azienda ha contribuito affinché la Calabria si trovi al primo posto per le vaccinazioni dei malati oncologici. Ovviamente anche altre categorie di fragili sono state vaccinate, come ad esempio i pazienti emofilici, talassemici o affetti da patologie neurologiche e neuropsichiatriche gravi segnalati dai vari direttori di Dipartimento. Il problema è avere le quantità sufficienti di vaccini, infatti abbiamo scorte molto limitate”.

Per immunizzare il più possibile tutta la popolazione visto l’elevato numeri di morti che contiamo ogni giorno che ‘ricetta’ adotterebbe?

“I morti che noi contiamo oggi risalgono in realtà a 15 giorni fa se non di più. Le morti non vanno di pari passo con le ondate. Certamente ci sono, sul territorio, dei problemi nell’individuazione delle categorie fragili e vulnerabili e nell’organizzazione dei punti vaccinali. Il problema più importante è la velocità nel vaccinare oltre che individuare le categorie. Temo che in molte realtà vi sia ancora un deficit organizzativo e pianificatorio importante. Questo è il nodo della questione”.

Potevamo produrre da subito secondo lei un vaccino ‘made in Italy’? Quello di Reithera è ancora in fase di validazione, servirà comunque anche tra qualche mese?

“Ci sono delle industrie in Italia che possono produrre i vaccini, pensiamo ad Anagni, ma forse bisognava agire prima. Questo comporta anche che le multinazionali acconsentano che i siti locali lo possano produrre. È mancata piuttosto una programmazione generale a livello europeo. A mio avviso bisognava immaginare che le multinazionali non sarebbero state in grado di produrre i vaccini per tutto il mondo e che forse non avrebbero rispettato le forniture. Attrezzarsi a livello locale era possibile. Un altro tema è quello della proprietà intellettuale. È sul tavolo degli incontri internazionali la possibilità di revocare temporaneamente i brevetti, ma è una strada difficilmente percorribile. In ogni caso avere più vaccini, prodotti nel nostro Paese e non, anche per il futuro è positivo perché la vaccinazione non finisce qui. Servirà qualche anno, finché non avremo il ‘governo’ di questo virus. Sicuramente sarà necessario, così come accade per il vaccino antinfluenzale ad esempio, effettuarlo ogni anno”.

Sfide per il futuro?

“La mia maggiore preoccupazione, a medio e lungo termine, è che tutti noi pagheremo un prezzo molto alto non soltanto in termini di morti per Covid ma anche per non aver assistito persone con patologie non Covid. Questo sarà il tema sui cui confrontarci e tirare fuori delle soluzioni nei prossimi anni. Sarà necessario intervenire per affrontare i grandi temi di salute pubblica qualunque sia il modello organizzativo che verrà messo in campo, prevedendo soluzioni innovative che non possono non considerare anche il ruolo del privato, non solo quello accreditato. Altrimenti allo tsunami Covid seguirà quello delle patologie non Covid, senza contare i danni psicologici di un così lungo periodo di isolamento”.

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