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Firenze, ospedali allo stremo. Cgil: “Pazienti in barella aspettano anche 24-48 ore”

I tre poli Ponte a Niccheri, Torregalli e Santa Maria nuova sono in emergenza: reparti iper-affollati e personale stanco

Pubblicato:01-04-2021 12:01
Ultimo aggiornamento:01-04-2021 12:01
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FIRENZE – Gli ospedali fiorentini “sono allo stremo”. Il grido di allarme lo lancia la Cgil attraverso una ricognizione su tre poli: Ponte a Niccheri, Torregalli, Santa Maria nuova. Così a Ponte a Niccheri, si spiega in un focus, “i circa 80 posti letto Covid sono pieni, nei prossimi giorni se ne aggiungeranno 15 e stanotte c’erano 15 pazienti in barella che aspettavano un posto letto“. A Torregalli, “che nei piani iniziali doveva essere free Covid, si sono dovuti trovare 15 posti letto in medicina 1 e 35 di chirurgia sono stati trasformati in posti Covid”. Qui “i pazienti in barella possono attendere fino a 24-48 ore per entrare in reparto“. Nell’ospedale di Santa Maria Nuova (26 posti letto Covid più sei di rianimazione), “le attese in barella sono di 24 ore nel reparto osservazione Covid, di 24-48 ore per il ricovero di pazienti no Covid“.

In questi giorni, in sostanza, “si sta abbattendo la terza ondata, la più pericolosa da quanto visto fino ad oggi sia per l’elevato numero di ricoveri, che per il repentino abbassamento dell’età media dei contagiati che ora si attesta sui 43 anni, numeri che implicitamente parlano anche di ragazzi sotto i 30 anni che potrebbero ammalarsi gravemente”. Un dato, quello dell’abbassamento dell’età, significativo soprattutto perché “comporta un drastico aumento dei tempi medi delle degenze, con gravi ripercussioni sui servizi di degenza ordinaria, sia Covid che non Covid”. Reparti “tutti da settimane iper-affollati con pazienti molto complessi da gestire”.

Il punto, osservano i sindacalisti della Fp Cgil che operano nell’Asl Toscana centro, è che “mentre fino ad oggi abbiamo rivolto principalmente la nostra attenzione sull’occupazione dei posti letto di terapia intensiva, nessuno si è accorto che i reparti di medicina si sono trasformati in veri e propri reparti di sub-intensiva, dove vengono trattati pazienti critici che necessitano di un’intensità di cure molto elevata, senza che ci sia stato il necessario adeguamento degli organici”.


C’è questo e c’è anche altro, come i disagi che le famiglie dei sanitari devono affrontare con la zona rossa. Con le scuole chiuse, infatti, “tanti lavoratori chiedono di rimanere a casa usufruendo dei congedi previsti per stare con i figli in età scolare”. E “queste ulteriori assenze si andranno ad aggiungere a una situazione generale in cui il personale è stanco e appena sufficiente per coprire gli schemi di servizio nei reparti non Covid, ma risulta inadeguato numericamente per i reparti covid, che sistematicamente stanno prevalendo dalla metà di marzo sulle degenze normali”.

In questo senso, si spiega, “le gravi carenze di personale infermieristico e Oss ci stanno mettendo nuovamente di fronte alle scene già viste nel corso della prima ondata, quando il personale era costretto a indossare le tute anti-contaminazione per interi turni di lavoro senza alcuna possibilità di ristoro e di interruzione per poter espletare i propri bisogni fisiologici”.

È per questo che la Cgil chiede alla direzione aziendale “di attivare tutte le misure organizzative che permettano di recuperare il personale impiegato in attività sanitarie non direttamente collegate con l’emergenza sanitaria, oltre che di continuare ad attingere dalla graduatoria Estar per Oss ancora attiva”.

E se “le prossime due settimane potrebbero rappresentare la fine della fase più cruenta della pandemia nel nostro territorio”, per raggiungere questo obiettivo “con la massima sicurezza serve un ulteriore sforzo da parte di Regione e aziende sanitarie per attivare tutte le misure straordinarie già messe in opera durante la prima ondata e che hanno permesso di garantire la tenuta di tutti i servizi sanitari essenziali”. Viceversa “la mancanza del dovuto personale potrebbe comportare dei gravi disservizi e disagi nella gestione sia dei pazienti Covid positivi che di quelli no Covid con potenziali pericoli nella sicurezza delle cure”.

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