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La volontaria denuncia: “In Polonia apartheid alla frontiera: ucraini passano, gli altri migranti no”

Matus di Grupa Granica: "Varsavia fa propaganda su 'veri rifugiati'"

Pubblicato:01-03-2022 12:36
Ultimo aggiornamento:01-03-2022 12:36

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ROMA – “I profughi dall’Ucraina entrano in Polonia senza problemi, la frontiera è spalancata anche per chi è senza documenti, e la procedura d’asilo parte subito. Sarebbe una cosa bellissima, se non fosse che invece pochi chilometri più a nord, quelli che arrivano dal confine bielorusso trovano il muro a fermarli, oltre a un enorme dispiegamento di agenti di frontiera che li respingono sistematicamente indietro. E da un paio di settimane gli arrivi sono tornati a salire. Il nostro governo applica l’apartheid“. Monika Matus è una volontaria di Grupa Granica (in polacco “gruppo di frontiera”), l’ong che dall’autunno scorso in rete con altre associazioni polacche gestisce l’emergenza profughi al confine con la Bielorussia.

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L’agenzia Dire la raggiunge a Cracovia, in un “raro momento di pausa”. In questi giorni infatti, racconta Matus, “siamo impegnati a riorganizzare le nostre attività lungo la frontiera con l’Ucraina”. Il riferimento è alle centinaia di migliaia di persone che stanno fuggendo dal Paese dopo l’operazione militare lanciata da Mosca il 24 febbraio. “La società civile polacca si è immediatamente attivata per accogliere- dice – e noi non potremmo esserne più felici. Il problema è che il nostro governo applica una segregazione per quelli che invece non sono ucraini bensì libanesi, siriani, yemeniti, somali, afghani… il ministro dell’Interno ha già dichiarato pubblicamente che quelli non sono ‘veri rifugiati’, a differenza degli ucraini che, ha detto, ‘scappano da una guerra vera’. È propaganda”.


Dall’estate scorsa il flusso di profughi da Africa, Asia e Medio Oriente è decuplicato, una situazione di cui l’Unione europea ha accusato il governo di Minsk che, col sostegno della Russia, avrebbe fatto arrivare migliaia di migranti a Minsk per spingerli verso le frontiere esterne dell’Ue. Polonia, Lettonia e Lituania hanno chiuso i confini e dispiegato forze di sicurezza. Da dicembre Varsavia ha anche avviato la costruzione di una barriera di separazione. I pochi che riescono a oltrepassare la frontiera, come denunciano da tempo le associazioni, vengono sistematicamente rimandati indietro. Le persone sono state spinte a nascondersi nei boschi, senza cibo e acqua, e a trascorrere le notti all’aperto anche con la neve.

“Sono stati trovati dei cadaveri” riferisce Matus. “I profughi ci raccontano spesso di averne visto lungo il tragitto, o di aver dovuto lasciare indietro qualcuno”. A gennaio, forse per le temperature estreme, gli ingressi si sono notevolmente ridotti, “ma da un paio di settimane sono ripresi” avverte la volontaria. A causa dell’aumento degli agenti di frontiera e della creazione di una fascia di sicurezza che impedisce alle ong di raggiungere l’area dell’emergenza, “per noi è ancora più difficile assistere i profughi che ci chiedono aiuto” denuncia Matusa, che racconta ancora: “La scorsa settimana un gruppo di cinque persone è rimasto bloccato in una zona paludosa. Ce ne sono molte in questi boschi. Per giorni sono rimasti lì senza niente e noi non abbiamo potuto raggiungerli. Alla fine abbiamo allertato i vigili del fuoco e li hanno tratti in salvo. Abbiamo avvisato però anche i giornalisti, in modo che dopo il salvataggio, con la loro presenza, scoraggiassero le guardie di frontiera a respingerli verso la Bielorussia”.

Anche la Guardia di frontiera starebbe sostenendo la propaganda del governo del partito Pis, come dimostra l’ultimo tweet di qualche giorno fa: “#StopFakeNews: i rifugiati in fuga dall’Ucraina in guerra entrano in Polonia, indipendentemente dalla loro nazionalità. Il gruppo dominante bisognoso di rifugio sono i cittadini ucraini, ma tra quelli controllati dalla Guardia di frontiera ci sono anche cittadini di altri Paesi, come Usa, Nigeria, India, Georgia e altri”. La cosa inquietante – conclude Matus – è che quando twittano in favore degli ucraini, usano l’hashtag #SgPomaga, ossia ‘La Guardia di frontiera aiuta’”. 

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