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Studio Inapp: “Solo 12% giovani si laurea se genitori hanno licenza media”

I dati della ricerca realizzata dell'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche "Istruzione e mobilita' intergenerazionale: un'analisi dei dati italiani" pubblicato nel nuovo numero della rivista SINAPPSI dal titolo "L'istruzione fra scelte di policy, modalita' di funzionamento e risultati

Pubblicato:01-03-2021 12:10
Ultimo aggiornamento:01-03-2021 12:11
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ROMA – Un figlio di genitori con la laurea ha il 75% di probabilità di laurearsi, uno proveniente da una famiglia con al massimo il diploma il 48%, uno con genitori con la licenza media il 12%, scendiamo poi al 6% nel caso di individui i cui genitori non hanno alcun titolo di studio (in riferimento ad una classe di individui nati tra il 1977 e il 1986). È quanto emerge da uno studio dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche “Istruzione e mobilità intergenerazionale: un’analisi dei dati italiani” pubblicato nel nuovo numero della rivista SINAPPSI dal titolo “L’istruzione fra scelte di policy, modalità di funzionamento e risultati” che sarà presentato nel corso di un evento online il 4 marzo a cui parteciperà con un indirizzo di saluto il Ministro della Pubblica Istruzione, Patrizio Bianchi.

LO STUDIO

Lo studio, a differenza di altri che prendono come parametro di confronto il reddito dei genitori, si focalizza sui dati riguardanti il livello di istruzione che “forniscono informazioni altamente valide e stabili sulla scolarizzazione completata – sottolinea la ricerca – in quanto le domande inerenti all’istruzione, non essendo percepite come sensibili dai partecipanti alle indagini, hanno un’alta affidabilità e una bassa percentuale di rifiuto”. Se l’istruzione rappresenta una caratteristica molto importante per l’individuo dato che incide su diversi aspetti della sua vita come la posizione lavorativa, le opportunità di carriera, il reddito percepito, il benessere e il prestigio goduto, è purtroppo vero che come evidenziato dall’Ocse in Italia, prendendo a campione gli individui con un’età compresa tra i 25 e i 64 anni, solo il 30% ha completato il livello di studi secondario, l’8% quello universitario e il 62% quello elementare e medio inferiore. Da questo punto di vista, e rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia appare quindi come uno dei Paesi meno istruiti. Anche perché il rendimento degli investimenti nell’istruzione è uno dei più bassi: i soggetti con titolo di studio universitario guadagnano in media solo il 40% in più rispetto a quelli con istruzione secondaria superiore, rispetto al 60% in più della media Ocse (2018).

“Generalmente i genitori desiderano per i propri figli un tenore di vita più elevato e con esso una vita migliore di quanto non abbiano avuto loro stessi – ha sottolineato il presidente dell’INAPP, prof. Sebastiano Fadda – e la maggior parte delle persone aspira ad avere l’opportunità di raggiungere posizioni più elevate rispetto a quelle della famiglia di origine. Questo studio dimostra che esiste una relazione diretta tra il titolo di studio dei genitori e quello dei figli e che in Italia, purtroppo, “l’ascensore sociale” sembra essersi fermato. Sia per un problema legato alle risorse economiche che per un aspetto culturale, le evidenze dimostrano che un genitore poco istruito sarà meno propenso a investire nell’istruzione del proprio figlio. Proprio per queste ragioni sono necessarie politiche pubbliche volte a superare le diseguaglianze di origine non solo offrendo agli individui ‘capaci e meritevoli’ ma ‘privi di mezzi’ le risorse necessarie a proseguire gli studi, ma anche garantendo che le istituzioni di istruzione sappiano assicurare a tutti processi di apprendimento validi, incisivi e profondi”.Se l’istruzione rappresenta una caratteristica molto importante per l’individuo dato che incide su diversi aspetti della sua vita come la posizione lavorativa, le opportunità di carriera, il reddito percepito, il benessere e il prestigio goduto, è purtroppo vero che come evidenziato dall’Ocse in Italia, prendendo a campione gli individui con un’età compresa tra i 25 e i 64 anni, solo il 30% ha completato il livello di studi secondario, l’8% quello universitario e il 62% quello elementare e medio inferiore. Da questo punto di vista, e rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia appare quindi come uno dei Paesi meno istruiti. Anche perché il rendimento degli investimenti nell’istruzione è uno dei più bassi: i soggetti con titolo di studio universitario guadagnano in media solo il 40% in più rispetto a quelli con istruzione secondaria superiore, rispetto al 60% in più della media Ocse (2018). “Generalmente i genitori desiderano per i propri figli un tenore di vita più elevato e con esso una vita migliore di quanto non abbiano avuto loro stessi – ha sottolineato il presidente dell’INAPP, prof. Sebastiano Fadda – e la maggior parte delle persone aspira ad avere l’opportunità di raggiungere posizioni più elevate rispetto a quelle della famiglia di origine. Questo studio dimostra che esiste una relazione diretta tra il titolo di studio dei genitori e quello dei figli e che in Italia, purtroppo, “l’ascensore sociale” sembra essersi fermato. Sia per un problema legato alle risorse economiche che per un aspetto culturale, le evidenze dimostrano che un genitore poco istruito sarà meno propenso a investire nell’istruzione del proprio figlio. Proprio per queste ragioni sono necessarie politiche pubbliche volte a superare le diseguaglianze di origine non solo offrendo agli individui ‘capaci e meritevoli’ ma ‘privi di mezzi’ le risorse necessarie a proseguire gli studi, ma anche garantendo che le istituzioni di istruzione sappiano assicurare a tutti processi di apprendimento validi, incisivi e profondi”.


In Italia, sottolinea in particolare lo studio INAPP, le riforme hanno sì ampliato l’accesso a tutti i livelli di istruzione, ma essendo rimaste immutate le differenze socioeconomiche e i loro effetti, dalle nuove opportunità hanno tratto vantaggio tutte le classi indistintamente, anche quelle superiori e la liberalizzazione dell’accesso all’Università avvenuta nel 1969 sembra aver favorito soprattutto i figli delle famiglie più istruite. “Inoltre- conclude Fadda- la frontiera tecnologica relativamente arretrata su cui opera mediamente il sistema produttivo italiano fa sì che livelli di istruzione elevati non garantiscano né maggiore probabilità di occupazione, né significativi differenziali retributivi. Pertanto è necessario superare il disallineamento tra domanda e offerta di competenze e stimolare processi produttivi innovativi capaci di assorbire forza lavoro altamente qualificata per indurre anche le famiglie meno istruite a investire maggiormente nel capitale cognitivo dei figli in vista di sicuri rendimenti futuri”.

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