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VIDEO | Nel Lazio formazione per 4.000 operatori sociosanitari e di centri antiviolenza

Pangea: "L'adeguamento delle strutture sanitarie è rallentato, ma a breve ci sarà da parte del ministero della Salute una formazione a distanza rivolta a tutto il personale sanitario interessato"

Pubblicato:01-02-2020 10:55
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:56

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ROMA – Sono 4mila, tra operatori sociosanitari di ospedali e enti locali e operatrici dei centri antiviolenza, i soggetti coinvolti nella formazione antiviolenza integrata, promossa e avviata dalla Regione Lazio e illustrata dall’assessora alle Pari Opportunità, Giovanna Pugliese, e dalla presidente della Cabina di regia per il contrasto alla violenza contro le donne, Cecilia D’Elia, in occasione dell’incontro ‘Il contrasto alla violenza maschile contro le donne: la Regione Lazio, la rete ospedaliera e le associazioni insieme per la costruzione della rete territoriale’. Un momento di confronto organizzato nell’ambito della mostra inaugurata nello spazio WeGil a Roma il 16 gennaio ‘L’invisibilità non è un super potere’ a cura della fotografa Marzia Bianchi con fondazione Pangea Onlus e Reama Network, in una giornata che si è aperta con la notizia dei femminicidi di Versciaco e Mazara del Vallo. Al centro del dibattito la rete antiviolenza, di cui ospedali e Pronto Soccorso sono punti di snodo cruciali, e le sue criticità, specie sulla formazione, alla luce dell’esperienza delle associazioni delle donne che “su questo tema- dichiara Simona Lanzoni, vicepresidente di fondazione Pangea e coordinatrice di Reama- da 40 anni lavorano da sole”. Ma “la Convenzione di Istanbul, entrata in vigore in Italia nel 2014- sottolinea- chiede agli Stati di prendersi delle responsabilità, e c’è bisogno della complicità tra associazioni di donne e istituzioni perfare una rivoluzione, a livello culturale e di protezione delle donne”.

Un input raccolto dalla Regione Lazio proprio a partire dai Pronto Soccorso, dove vengono sperimentati percorsi speciali per chi subisce violenza, offrendo assistenza dal punto di vista fisico, psicologico e giuridico, nel rispetto della riservatezza. E, in più, con “questa formazione, che sarà attuata con l’aiuto di esperte di cultura di genere e si baserà sul recepimento delle linee guida nazionali” per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza, chiarisce D’Elia. Obiettivo non secondario sarà poi la concreta costruzione della rete antiviolenza regionale, “che significa un sistema non gerarchico, ma anche competenze e saperi da condivisi”. “Questa mostra sta avendo un grande successo e l’inaugurazione e la conferenza stampa sono stati molto toccanti”, dichiara l’assessora Pugliese, ringraziando Reama, fondazione Pangea e le consigliere “che hanno permesso di iniziare questo percorso che la porterà in altre città della Regione” e sottolineando l’importanza di strutturare la rete, che, per D’Elia, deve essere affiancata “dal rafforzamento dei percorsi di fuoriuscita, quindi dal lavoro – e abbiamo avuto le prime otto richieste per il contributo di libertà – e da un lavoro strutturale sulla cultura, ad esempio con l’educazione di genere, ancora sottovalutata”. Ed è proprio a partire dai giovani che Marzia Bianchi racconta i suo scatti in mostra tra i dolori e le ferite delle donne che subiscono violenza, delle loro parole esposte accanto alle radiografie delle fratture causate dai maltrattamenti, che rompono il muro del silenzio e dell’invisibilità. “Il male sta in tante piccole cose quotidiane, come spiegavo agli studenti di un liceo classico di Roma venuto in visita- spiega- una lista della spesa con i soldi che non bastano per comprare tutto, lui che prende il cellulare e lo tiene in tasca perché deve controllare i messaggi e le telefonate. A Milano abbiamo esposto le radiografie originali con un cerchio rosso che evidenziava il trauma. Qui abbiamo rielaborato le immagini e deciso di non mettere quel cerchio per fare in modo che lo spettatore si sforzi di leggere quello che ha davanti. Per me questa mostra è stato un laboratorio per rielaborare il dolore raccolto in un anno– confessa- Mi ha insegnato il valore delle reti umane, il confronto con le donne, con le figlie che subiscono violenza assistita”. Protagoniste della giornata anche anche buone pratiche e eccellenze regionali della rete: dalla Asl Roma 2 alle pratiche dello sportello antiviolenza del San Camillo “l’unico in Europa aperto h24 in un ospedale pubblico”, precisa la presidente di BeFree, Oria Gargano, dall’approccio verso l’autonomia di Differenza Donna al policlinico Umberto I a Telefono Rosa, alle esperienze sui territori con le associazioni Giuridicamente libera e Ponte donna.


LANZONI (PANGEA): ADEGUAMENTO PS LENTO, A BREVE FORMAZIONE MINISTERO SALUTE

“Nel 2017 sono state emanate le linee guida nazionali su come devono essere adeguati i Pronto Soccorso per l’accoglienza delle donne vittime di violenza e su come devono a loro volta contattare i centri antiviolenza e tutta la rete territoriale per poterle reindirizzare e risolvere il loro problema. L’adeguamento delle strutture sanitarie è relativamente rallentato, ma la cosa importante è che a breve ci sarà da parte del ministero della Salute una formazione a distanza rivolta a tutto il personale sanitario interessato”. Lo spiega all’agenzia Dire Simona Lanzoni, vicepresidente di fondazione Pangea e coordinatrice della rete Reama.

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“L’obiettivo della mostra è far emergere quello che ancora rimane invisibile: la violenza sulle donne- spiega alla Dire Lanzoni- Molto spesso le donne decidono di resistere, di rimanere nel sommerso, nell’invisibilità, pensando che resistendo potranno farcela. Non è così. Molto spesso, lo sentiamo purtroppo dai fatti di cronaca tutti i giorni, non è un superpotere l’invisibilità e noi vogliamo che emerga attraverso le donne che sono arrivate al Pronto Soccorso. Noi sappiamo che c’è un’enorme quantità di donne che arriva per la prima volta al Pronto Soccorso senza a volte neanche rendersi conto di essere vittime di violenza o sapendo che da quel momento in poi devono fare qualche cosa”. L’esposizione – nata a partire da un’idea della chirurga Maria Grazia Vantadori – comprende fotografie e frasi di queste donne raccolte dalla fondazione “in un anno e mezzo di lavoro”, assieme alle loro radiografie che mostrano fratture, lesioni e, addirittura, un coltello conficcato nel torace. “La radiografia non mostra il solito livido, il solito rivolo di sangue, la solita ferita, va oltre- continua la coordinatrice di Reama- Va a mostrare quello che è molto più difficile vedere. Soprattutto, non ha bisogno di ulteriori parole per spiegare che c’è una frattura, qualcosa che si è rotto, un dolore che è oltre la frattura”. Bene, quindi, l’impegno della Regione Lazio “che ci ha chiamato per esporla qui, e poi a Frosinone e speriamo anche in altre province”. E, soprattutto, perché “ha avviato una formazione a tutta la rete di presa in carico, sia dei servizi specializzati che dei servizi generici, come le forze dell’ordine, le Asl, gli assistenti sociali e gli operatori del sistema educativo”, con “due lezioni specifiche solo per le persone che lavorano nel sistema sanitario. Questa è un’iniziativa perfettamente in linea a quanto chiede la Convenzione di Istanbul- conclude Lanzoni- Il bicchiere lo vediamo mezzo pieno perché si sta iniziando a muovere un processo che sicuramente ha bisogno di tempo, ma intanto è iniziato”.

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