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La ‘rapina intellettuale’ di poeti, filosofi e psicologi

ROMA - Il libro di Elena Villanova sul carteggio tra Caterina Vassalini e Salvatore Quasimodo rimarca il vassallaggio culturale, lo

Pubblicato:01-02-2019 16:24
Ultimo aggiornamento:01-02-2019 16:24
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ROMA – Il libro di Elena Villanova sul carteggio tra Caterina Vassalini e Salvatore Quasimodo rimarca il vassallaggio culturale, lo sfruttamento intellettuale delle donne, l’umiliante silenzio in cui sono state relegate (o forse si sono lasciate relegare in obbedienza ad una sorta di “deferente rispetto” che origina da una atavica sottomissione all’autorità dei padri). Una forma di violenza che non è meno grave di altre forme di violenza. Ne parla in un articolo Maria Felice Pacitto,psicologa e psicoterapeuta, membro del Comitato DireDonne.

Si tratta di non riconoscere le abilità, le capacità, che attengono all’identità della persona e, dunque, non riconoscere la persona stessa. Un tema che non appartiene, dunque, semplicemente alle questioni femministe delle rivendicazioni dei diritti ma che pone una questione squisitamente filosofica, epistemologica ed ontologica: “Chi è la donna?”.

La Vassalini era una docente di latino e greco del liceo Maffei di Verona, la quale tradusse dal greco per Quasimodo (parrebbe che non fosse un abile conoscitore del greco). Senza il suo lavoro certosino- ricorda Pacitto- non sarebbe stata possibile la versione poetica degli epigrammi greci da parte del poeta premio Nobel (Il fiore dell’antologia palatina ) Un lavoro sotterraneo e nascosto di cui nessuno le rese merito. Stessa cosa accadde a Lucia Rodocanachi, la quale tradusse per amici noti (Montale, Vittorini, Gadda) i quali, semplicemente, personalizzavano le sue traduzioni. Ma molti altri casi esemplari esistono dello sfruttamento intellettuale delle donne ed in altri campi in cui ci si sarebbe aspettato ben altro rispetto nei confronti dell’intelligenza femminile. Edith Stein era particolarmente dotata, per cui le fu facile inserirsi nel mondo universitario. Qui divenne allieva e poi assistente di Edmund Husserl, il fondatore della fenomenologia. Discuterà proprio con lui la tesi di dottorato che darà luogo al primo lavoro teorico della Stein pubblicato con il nome de “Il problema dell’empatia”. Si tratta del testo forse più conosciuto della filosofa, tornato in auge soprattutto dopo la scoperta, in ambito neuroscientifico, delle cellule specchio. Dunque nel 1916 divenne dottore in filosofia, cosa molto insolita per quei tempi. Durante i due anni di assistentato presso Husserl, fu impegnata in un lavoro estenuante di trascrizione e catalogazione della mole di minute del maestro, stenografate, spesso incomprensibili. Alla fine estenuata e mortificata per questo lavoro che si era rilevato molto lontano da quello di collaboratrice, come era nei patti, si dimise. I buoni rapporti non furono però interrotti.E comunque Husserl, che aveva, va detto, una grande stima dell’allieva, pubblicò alcuni scritti della Stein sul suo Jahrbuch.


Anche il mondo psicoanalitico non fu indenne- denuncia nel suo articolo Pacitto- dai fenomeni di negazione dell’intelletto femminile. Si pensi alla vicenda di Sabine Spielrein, teorica e pioniera della psicoanalisi, ma “scomoda” per la relazione affettiva ,intessuta nei primi anni del ‘900, mentre era sua paziente, con Carl Gustav Jung. Dalla metà degli anni’20 in poi non si saprà più nulla di lei, tranne la citazione che ne fa Sigmund Freud nel testo “Al di là del principio di piacere”. Ella sarà conosciuta alla fine degli anni’70 solo per la sua storia amorosa con Jung e grazie al bellissimo saggio, di Aldo Carotenuto, Diario di una segreta simmetria. E, pure, alle sue idee Jung si ispirò nella elaborazione del concetto di anima e Freud nell’elaborazione del concetto di istinto di morte. Ci furono molte donne che contribuirono direttamente allo sviluppo della psicologia analitica iunghiana- continua l’autrice- e che ebbero, però, un ruolo subalterno se non oscuro. Le donne che ruotavano intorno a Jung erano molto disponibili a lavorare per lui, riconfermando, in qualche modo, quel ruolo ancillare che da sempre ha caratterizzato il destino delle donne. Toni Wolff sacrificò la sua vita personale per essere accanto a lui. Marie Louise Von Franz tradusse moltissimi testi alchemici che consentirono a Jung di procedere nel suo lavoro teorico. Ma la vicenda più triste e drammatica fu quella di Christiana Morgan (1897-1967). Costei, americana, si trasferì in Europa per poter essere analizzata da Jung. Per lui produsse moltissimi materiali visionari che gli permisero di approfondire le sue teorizzazioni. Ella ebbe una ruolo fondamentale nell’elaborazione del test proiettivo T.A.T., sviluppato insieme ad Henry Murray, uno degli psicologi americani più noti e creativi dell’epoca. Ma il suo nome, presente nella prima edizione, scomparve in tutte le successive e, anche, dalla storia. Anche la sua vita come quella di Sabine, morta a Rostov trucidata dai nazisti, ebbe un esito tragico. Finì, infatti, con il suicidio. E’ stata conosciuta, in modo analogo a Sabina Spilrein, solo recentemente grazie al saggio biografico di un’altra analista, Claire Douglas (Interpretare l’ignoto. La vita di Christiana Morgan, un talento rimasto in ombra, Ed. Magi).

Una vicenda quella della Morgan simile a quella, più recente, di Margaret Keane. Chi era Margaret Keane?- chiede Pacitto- Per i più un’ illustre sconosciuta, ma molto noti erano i suoi quadri: quei bimbi dagli occhioni attoniti e tristi, quasi spaventati dal mondo. In molte case borghesi degli anni ’70 se ne poteva trovare una riproduzione. I quadri di Margaret Keane ebbero un grande successo ma sotto un altro nome, quello del marito. Fu un caso esemplare di sfruttamento, di plagio e di dipendenza psicologica, in tempi in cui non si parlava troppo di tale fenomeno e le tematiche del femminile erano appena agli esordi. Margaret rimase, quasi segregata, per 10 anni nell’atelier della casa, dove lavorava per 16 ore al giorno. Finalmente, riuscì a liberarsi dalla dipendenza del marito nel 1970: durante una trasmissione radiofonica denunciò il marito, il quale fu condannato successivamente ad un forte risarcimento. Margaret era rimasta per un lungo numero di anni all’ombra del marito, deprivata della sua creatività e della sua opera. Le vicende di Sabine, Cristiana, Margaret, Caterina, Lucia, sono esemplari di una condizione fortemente radicata: la negazione della creatività e soggettività femminile, condizione, talora, facilitata dalla stessa donna. Oggi Margaret ha 90 anni- conclude Pacitto, Comitato DireDonne- ed è diventata un’icona del riscatto femminile.

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