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Welfare, Cna: “Occupazione cresce, ora qualificare servizi sul modello francese”/VIDEO

Oggi a Roma la Cna ha presentato il secondo rapporto sui servizi alle persone e alle famiglie in Italia

Pubblicato:09-05-2017 14:00
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:12

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ROMA – L’occupazione nei servizi sociali e sanitari dal 2008 al 2015 in Italia è cresciuta del 9,1%, seconda solo a hotel e ristorazione (+15%). E’ quanto emerge dal secondo rapporto Cna sui servizi alla persona. In Unione europea questi servizi rappresentano il 7% di tutte le attività economiche pari a 900 miliardi di euro con una crescita occupazionale del 12,4%. In Italia si valutano 830.000 impieghi irregolari nel settore della cura. In Francia, il paese europeo che più ha investito su una strategia di integrazione tra politiche di welfare e politiche per la creazione di occupazione, il settore tra il 2005 e il 2011 ha visto un tasso di crescita del 8% annuo con un trend positivo del 43% tra il 2003 e il 2010. La Cna quindi osserva: “In una fase di crisi e riduzione della spesa sociale continuiamo a credere che il welfare non sia solo un costo da tagliare. E’ piuttosto un fattore produttivo in grado di alimentare la creazione di nuova occupazione e nuove reti di imprese. Di fronte agli scenari aperti dalla crisi e alla perdite forti occupazionali- si legge ancora nel rapporto- i servizi alle persone continuano a guadagnare occupazione“. In futuro questa tendenza “andrà rafforzandosi, quindi siamo a un punto di svolta. Molti paesi europei hanno già adottato politiche per creare lavoro regolare nei servizi”. In Italia invece, osserva la Cna, “persistono invece larghe sacche di lavoro sommerso che impediscono uno sviluppo integrato del settore. Investire nei servizi di welfare è un fattore strategico per il paese”.

La Cna propone il ‘modello francese’ che con un “forte impulso al coordinamento tra i diversi servizi che compongono la cura delle persone” ha sviluppato una “una filiera integrata di interventi che permette di monitorare la qualità, organizzare la formazione e controllare le condizioni di impiego dei lavoratori a domicilio”. Con il vantaggio di dare “impulso all’emersione del lavoro nero” che viene dalla “combinazione virtuosa di forti incentivi fiscali e di un sistema di accreditamento in grado di garantire scelta e qualità. Infine, un indiscutibile vantaggio di questo sistema è il forte sostegno alla creazione di imprese”. Naturalmente ci sono costi da sostenere per politiche di questo tipo, ammette la confederazione. “Già il solo obiettivo di disincentivare il mercato sommerso richiede un intervento per l’abbattimento del lordo almeno pari alla differenza con il costo netto. A questo fine- osserva il Rapporto- vantaggi fiscali previsti per il datore di lavoro (famiglia) sono pari a un credito di imposta del 50% per ogni singolo prestatore assunto, più l’esonero dal versamento dei contributi sociali, con l’abbattimento di 0,75 euro per ora lavorata sull’assicurazione sociale malattia, invalidità, decesso”. Per lo Stato “si tratta di un costo ingente che tuttavia ha la capacità di alimentare un mercato regolare che garantisce risorse e entrate per lo Stato. E’ stato stimato che su 11 miliardi di uscite vi sono entrate pari a 9 miliardi per un costo finale di 2 miliardi”.

VACCARINO (CNA): SISTEMA DISORGANIZZATO, STATO SPENDA MEGLIO

“In Italia si spendono tanti soldi in welfare senza raggiungere i risultati attesi perché il sistema è disorganizzato“. Lo ha detto il presidente nazionale della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (Cna), Daniele Vaccarino, in occasione della presentazione del Secondo rapporto sui servizi alle persone e alle famiglie in Italia. “Uno studio che abbiamo fatto sul sistema francese- ha spiegato- dimostra che si possono ottenere risultati molto maggiori a parità di soldi spesi dallo Stato. Su questo chiediamo al Governo di lavorare con noi sulle nostre proposte“. Vaccarino ha spiegato che non si vuole chiedere allo Stato di spendere di più ma di spendere meglio. “Serve un mix di azioni- ha detto- per esempio le associazioni di categoria, in particolare i nostri patronati, che dispongono di una rete meravigliosa di conoscenze, possono diventare funzionali per mettere d’accordo quella che è la domanda di welfare da un lato, e dall’altro la risposta che può esserci attraverso un sistema di imprese che si adatta maggiormente a fare questo lavoro. Stiamo pensando- ha continuato- a tutto il problema dell’assistenza. Oggi si spendono 12 miliardi all’anno sulle questioni che riguardano il cosiddetto assegno di accompagnamento. Questo assegno va alle famiglie che normalmente lo utilizzano nella maniera che più ritengono opportuna. Spesso, purtroppo, scopriamo che diventano soldi spesi in nero, e questa non è la strada. Bisogna trovare imprese che facciano il lavoro, e gli accompagnamenti si trasformino in una specie di ‘voucher’ che le famiglie possano usare per pagare. Però ci vuole una defiscalizzazione perché ci sia convenienza nel utilizzare questi sistemi più moderni”.



BOBBA: MODELLO FRANCESE PER QUALIFICARE SERVIZI

“Dovendo ripensare allo strumento dei voucher credo che dobbiamo ispirarci alla legislazione francese che ha portato ad una emersione del lavoro nero, ad una migliore qualificazione dei servizi e ad elementi significativi di vantaggio per le famiglie”. Lo dice il sottosegretario alle Politiche Sociali, Luigi Bobba, partecipando alla presentazione del secondo ‘Rapporto sui servizi alle persone e alle famiglie in Italia’ della Cna. Rispetto alla richiesta della Confederazione di spendere meglio le risorse per il welfare, Bobba sottolinea che “molto è stato già fatto. Abbiamo ampliato il welfare aziendale attraverso i premi di produttività che- ricorda- sono totalmente esenti”. Questo “è un modo per sviluppare la seconda gamba del welfare che ha a che fare proprio con i servizi sempre più necessari per le famiglie”. Inoltre il sottosegretario osserva che il reddito di inclusione è “collegato anche a progetti personalizzati di servizi, in modo che la povertà sia sradicata dalla sua ereditarietà, cioè non si trasmetta da una generazione all’altra concentrandosi sui minori e ragazzi”.

di Marta Tartarini, giornalista professionista

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