Roma, 25 mar. - "L'elevato tasso di mortalita' registrato nel nostro Paese in conseguenza della epidemia da COVID-19, di gran lunga superiore a quello registrato in Cina, pone a considerare- necessariamente- la necessita' di rivedere completamente l'approccio clinico complessivo, e quindi il profilo gestionale, a questa malattia. Aver indicato, quale linea strategica sanitaria nazionale, come criterio di ospedalizzazione la comparsa di affanno (dispnea), non potendosi concepire che siano sufficienti febbre e tosse per ricoverare moltitudini ampissime di soggetti, ha esposto, a quanto documenta l'evidenza clinica, i soggetti infetti da COVID-19, sottoposti a regime di isolamento domiciliare ed al supporto terapeutico esclusivamente a base di paracetamolo, suggerito quale trattamento antipiretico, al catastrofico progressivo peggioramento della funzionalita' polmonare, di cui la dispnea rappresenta, purtroppo, l'apice tardivo di presentazione clinica. Quando, infatti, compare la dispnea, il danno, strutturale e funzionale, del polmone e' assai avanzato. Subito dopo la comparsa di dispnea, come verificato- sistematicamente- nella nostra esperienza quotidiana, l'insufficienza respiratoria acuta tende a precipitare in tempi rapidissimi, imponendo non solo ossigenoterapia ad alti flussi ma, molto spesso, troppo spesso, il ricovero nelle unita' operative di terapia intensiva, che prevede intubazione del paziente, coma farmacologico, e ventilazione meccanica invasiva, con netto peggioramento della prognosi".
(Red/ Dire)