(DIRE - Notiziario sanità) Roma, 14 ott. - Social network, communities, blog e forum: cosa è cambiato, con l'avvento del web 2.0, per i professionisti dell'informazione chiamati ad informare in maniera corretta sui temi della salute? È possibile realizzare una comunicazione efficace in questo ambito senza ascoltare la rete e confrontarsi con essa? Per discutere di questi e altri aspetti, Merck Serono spa, affiliata italiana di Merck, ha riunito esponenti del mondo della comunicazione, dell'healthcare e del biotech in occasione dell'incontro 'Biotecnologie ed innovazione in medicina sul Web 2.0. Fonti di informazione, fruitori, linguaggi'. L'evento si è svolto a Roma presso il residence Ripetta.
"Le applicazioni del web 2.0- ha detto Antonio Tosco, direttore Health outcomes & market access di Merck Serono s.p.a.- sono diventate uno strumento sempre più importante per la discussione e il confronto sui temi legati alla salute. I nuovi media, altamente interattivi, hanno infatti cambiato i modelli del fruitore e le sue aspettative, oltre che ovviamente i linguaggi. Di fronte a questi stravolgimenti, allora, come si deve comportare il giornalista che si occupa di temi healthcare? In che modo, poi, l'informazione giornalistica sulla salute riesce ancora a rispondere ai bisogni dei suoi fruitori? Ma soprattutto: come ci si può adeguare a questi nuovi bisogni senza tradire la propria 'mission' professionale, continuando a garantire un'informazione corretta? Ecco, nell'incontro di oggi abbiamo voluto provare a rispondere a questi interrogativi, con l'aiuto di esperti e studiosi del web 2.0".
Nel corso dell'incontro si è quindi parlato del perché social e corretta informazione entrano in conflitto. "Sul web, così come sui social- ha spiegato Federico Mello, giornalista del programma televisivo 'Ballarò' e blogger dell'Huffington post- tutto tende a funzionare seguendo le dinamiche del feedback. On line ogni cosa è infatti misurabile: le visite, i 'mi piace', i retweet, i commenti, i follower, le condivisioni, i preferiti. Inoltre, molti mattoni di comunicazione (che siano un post o un tweet) mostrano in maniera plateale al navigatore il loro grado di popolarità, facendo così scattare il tipico 'effetto BandWagon', ovvero 'Guardo quel video perché lo stanno guardando tutti'".
Se a queste constatazioni, ha quindi proseguito Mello, aggiungiamo "il fatto che ogni testata digitale ha numerosi strumenti per poter analizzare i feedback dei suoi contenuti, ecco che il rischio di compromettere una corretta informazione è dietro l'angolo. All'obiettivo di informare, infatti, si sostituisce quello di raccogliere visite". A tutt'oggi, comunque, una informazione al contempo efficace, completa e 'virale' è possibile, ma secondo il giornalista e blogger "risulta impossibile realizzare un buon servizio agli utenti, se l'obiettivo di qualsiasi impresa editoriale rimane la caccia ai clic. Questo naturalmente vale ancora di più per alcuni campi delicati dell'informazione, come quella medico-scientifica".
Ma come è cambiato, con la tecnologia, il modo di raccontare e condividere l'esperienza della malattia? Secondo Cristina Cenci, senior consultant Eikon Strategic e curatrice del Blog Digital Health del 'Sole24Ore', oggi le conversazioni online sulla salute, la malattia e le terapie "consentono di condividere con altri 'pazienti come me' le paure, le aspettative, gli effetti dei farmaci. Questo- ha spiegato- cambia radicalmente la percezione e il percorso della malattia: nel momento della cura, infatti, le discussioni on line contribuiscono all'aderenza terapeutica, ma anche a determinare effetti placebo e nocebo dei farmaci. Quando la malattia è cronica, le comunità online offrono quindi quel supporto che mai nessun sistema sanitario o network di caregiver è mai riuscito ad offrire prima".
La sfida per la comunicazione e i media, allora, è ascoltare "il discorso sociale online- ha aggiunto la curatrice del blog Digital health del 'Sole24Ore'- e acquisire la consapevolezza che il racconto di malattia non può essere scientificamente avalutativo, ma deve avere senso e significato dal punto di vista del soggetto. Serve per questo empatia narrativa, oltre che trovare il giusto linguaggio e le metafore adeguate per comunicare questi temi, partendo dall'ascolto di quello che si condivide in rete, un osservatorio fondamentale- ha concluso Cenci- delle esigenze e delle rappresentazioni collettive".
(Wel/Dire)