A Giornate Ido propone neuropsichiatri infantili a corsi preparto
(DIRE - Notiziario Sanità) Roma, 17 set. - "La neuropsichiatria infantile si allinea a questo filone di ricerca e di approccio clinico che cerca di anticipare non tanto la diagnosi, perché a 6 mesi non si tratta di fare diagnosi, ma di individuare quelli che possono essere i segni di vulnerabilità". Così Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile operante a Palermo e relatrice del convegno promosso a Roma dall'Istituto di Ortofonologia, commenta il metodo Infant Start sperimentato in California per il trattamento precoce dell'autismo (a 6 mesi).
INDICATORI DEL DISAGIO VISIBILI GIA' A 6 MESI - "Noi cerchiamo di individuare - e già a sei mesi lo si può fare - quali possono essere gli indicatori di disagio nel neonato lattante. Segni che si possono esprimere a diversi livelli- spiega la neuropsichiatra infantile- non mi riferisco solo ai segni specifici di autismo, ma anche ad una disarmonia che si può manifestare nel movimento, nelle sue posture, nella sua mancata intenzionalità a muoversi o nella sua mancata variabilità. La base è una buona conoscenza della neurologia classica neonatale- afferma- da cui poi ci muoviamo per poter andare a valutare l'uso funzionale di quel movimento che si può individuare già nel bambino così piccolo". CON BUON ACCUDIMENTO NON SI ESCE DALL'AUTISMO - L'osservazione del neuropsichiatra infantile "prevede anche una valutazione della relazione madre-bambino o, comunque caregiver-bambino, per valutare gli indicatori dell'intersoggettività che ci fanno comprendere che un bambino possa essere esposto ad una vulnerabilità. Noi sappiamo che l'autismo, come altre patologie, ha una base genetica- sottolinea Vanadia- ma sappiamo anche quanto incida il fattore ambientale, dal momento che gli stimoli nei primi mesi di vita arrivano proprio dai caregiver. Avere un neonato lattante che non attiva la responsività materna, perché lancia dei messaggi parziali o differenti da quelli che un genitore si potrebbe aspettare- spiega il medico- vuol dire avere di fronte un bambino che merita di essere interpretato e di avere uno spazio in cui qualcuno si ponga la domanda di qual è il suo bisogno e gli dia una risposta. La verità- chiarisce - non è che con un buon accudimento si esca dalla diagnosi di autismo ma che alcuni bambini che hanno degli indicatori che potrebbero far pensare all'autismo in realtà non lo sono, e potrebbero quindi poi evolvere in un disturbo della sfera neuropsicocomportamentale, in un disturbo neuroevolutivo che potrebbe avere dei segni clinicamente sovrapponibili all'autismo". COME SOSTENERE LE FAMIGLIE - "Non esistono ricette né per i genitori né per i bambini. Chiaramente nei primi mesi di vita tutto si basa su un accudimento che diventa anche abilitativo. Un accudimento- ripete l'esperta- che è contenimento, contatto e stimolazione. La madre ha bisogno di essere accompagnata in questo percorso, non guidata né istruita".
COME AVVICINARE LA NEUROPSICHIATRIA INFANTILE ALLE FAMIGLIE - Vanadia propone "l'integrazione di neuropsichiatri infantili formati già nei corsi preparto e nelle neonatologie, laddove- conclude- questo trauma incomincia e c'è maggiore bisogno di una sensibilizzazione guidata che non faccia paura. Vogliamo che le famiglie possano uscire dai nostri colloqui più consapevoli e rilassati".
(Wel/ Dire)