Gruppo-studio per capire cosa fanno e pensare percorsi comuni
(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 18 set. - Gli psicologi sono numericamente cresciuti all'interno delle case di cura psichiatriche, e oggi nel Lazio sono complessivamente 36. "Un trend iniziato nel 1995 e aumentato in maniera esponenziale, ma avvenuto spontaneamente e senza nessun progetto concreto". A rivelarlo alla Dire e' Pietro Romanelli, responsabile del servizio di Psicologia clinica della casa di cura Samadi e coordinatore del gruppo di studio 'La psicologia e gli psicologi nelle case di cura psichiatriche accreditate del Lazio', presentando oggi il primo risultato di uno studio di scenario presso l'Ordine degli Psicologi del Lazio.
"Manca una riflessione profonda su quanto il disagio psichiatrico sia anche psicologico- prosegue lo psicoterapeuta- e sebbene il legislatore abbia previsto la presenza di psicologi nelle case di cura, essendoci una grossa componente di disagio psicologico, esse rimangono di tipo psichiatrico. Inoltre- continua Romanelli- la legislazione dice che dobbiamo essere presenti ma poi non precisa cosa dobbiamo fare, anche se la realta' dei fatti richiede competenze psicoterapeutiche avanzate. Siamo infatti tutti psicoterapeuti, e alcuni specializzandi, proprio perche' c'e' bisogno di una formazione clinica specifica".
Da qui e' nata l'esigenza di formare un gruppo di studio per "incontrarci e dirci cosa facciamo- precisa il coordinatore- per confrontarci meglio con i colleghi medici, lavorando e crescendo in modo piu' consapevole".
Questo gruppo di studio, promosso dall'Ordine degli psicologi del Lazio, e' nato due anni fa e si riunisce due volte al mese. È composto da 5 persone, che si sono recate in tutte le 12 case di cura del Lazio scoprendo che in alcune di esse esiste un vero e proprio servizio di psicologia, con spazi dedicati come al Samadi, mentre in altre c'e' solo una stanza in comune alla quale lo psicologo si appoggia. Sono stati svolti gia' 4 incontri con tutti i 36 psicologi del Lazio per capire come lavorano, cosa fanno, cio' che hanno in comune e cio' che li differenzia.
"Abbiamo linguaggi diversi, esistono piu' approcci terapeutici- sottolinea Romanelli- potremmo parlare di tre filoni: medico-psichiatrico, neuropsicologico-riabilitativo e infine uno piu' umanistico di tipo esistenziale-affettivo". Il gruppo di studio ha "verificato l'esistenza di un minimo comune multiplo di questo fare, iniziando ad immaginare percorsi di valutazione del nostro operato, corsi di formazione comuni, forme di aggiornamento condivise e di confronto tra approcci diversi.
Questo ci permettera' di comprendere perche' alcune persone funzionano meglio con alcuni terapeuti piuttosto che con altri. Abbiamo anche intervistato diversi pazienti delle cliniche- aggiunge lo psicoterapeuta- che rilevano molto positiva la presenza degli psicologi nelle case di cura".
Il gruppo non mira ad "entrare nel conflitto tra figure professionali, tra medici e psicologi, perche' non bisogna far vincere ne' l'una ne' l'altra parte. Non e' un contrasto tra l'uso dei farmaci e la psicoterapia- evidenzia Romanelli- esso fa parte dello stesso essere umano, che chiede una risposta sia sul sintomo che nel profondo". Ma in Italia "se una persona ha un disagio psicologico viene subito affidata a uno psichiatra- chiarisce il responsabile del servizio di Psicologia Clinica della casa di cura Samadi- invece nei Paesi scandinavi, in Olanda e nel Regno Unito esiste un'equipe formata da psicologi, psichiatri, assistenti sociali e terapisti della riabilitazione che scelgono per ogni singolo caso la figura competente, il 'case manager', in base alla difficolta' primaria". Nel nostro Paese, ricorda lo psicoterapeuta, "restiamo in una cultura ancorata ai ruoli fissi, dove e' sempre il medico che gestisce tutto.
L'ottimo sarebbe se le categorie di operatori che lavorano con il disagio sociale- conclude il coordinatore del gruppo di studio- avessero l'umilta' di confrontarsi e di non pretendere di avere la verita'".
(Wel/ Dire)