Intervista al direttore sanitario e delegato di Unindustria
(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 9 ott. - Il decreto Balduzzi e' legge da inizio novembre 2012. Ma quella che era stata annunciata come la riforma che avrebbe rivoluzionato il sistema sanitario in Italia, continua a far discutere. Soprattutto gli addetti del cosiddetto 'privato accreditato'. Anche su di loro si e' abbattuta la scure della spending review, che ha determinato un abbassamento notevole delle tariffe delle prestazioni ambulatoriali che si avvicina al 50%. Il rischio, ora, e' quello della chiusura quasi totale delle loro strutture. E la categoria, non ci sta. La Dire ha intervistato sull'argomento il dottor Luca Marino, titolare e direttore sanitario del Gruppo Marilab, nonche' delegato Unindustria per la Diagnostica Ambulatoriale.
Perche' il decreto Balduzzi rischia di mettere in ginocchio le strutture? "È semplice: le tariffe determinate con questo decreto non sono sufficienti a coprire neppure i costi che le nostre strutture sostengono per effettuare un servizio qualitativo di alto livello, come succede ormai da cinquant'anni sul territorio italiano. Lo studio per la determinazione di queste tariffe, inoltre, non e' stato fatto in modo tale da poter valutare in maniera congrua quelli che sono realmente tutti i costi che affrontano le strutture sanitarie per offrire un certo servizio. Abbiamo analizzato l'istruttoria e ci siamo resi conto che e' totalmente carente di molti dati e approfondimenti. Ragione, questa, per cui si e' arrivati alla determinazione di una tariffa che non corrisponde alla realta'".
Cosa cambierebbe per l'assistenza sanitaria sul territorio se venissero meno le strutture private? Pensa che ci sarebbe un danno per il cittadino? "Le posso dare un dato della Regione Lazio, che vale come esempio: le strutture private accreditate erogano circa 50 milioni di prestazioni l'anno, che corrispondono pressoche' al 50% di tutte le prestazioni erogate, sempre a livello di specialistica ambulatoriale.
E se queste strutture venissero meno sul territorio? "Il cittadino ha bisogno di prestazioni diagnostiche, e mi chiedo dove mai potrebbe andare a finire per risolvere il suo problema. Si allungherebbero notevolmente le liste d'attesa, si creerebbe un disagio enorme e tutto questo a discapito della cittadinanza. Senza considerare un altro aspetto fondamentale, ossia che vengono coinvolte migliaia di imprese sanitarie con una struttura aziendale spesso molto rilevante, in cui la forza lavorativa e' costituita da decine di migliaia di lavoratori specializzati, la cui occupazione finirebbe con l'essere compromessa generando, quindi, una ricaduta ulteriormente negativa sulla gia' precaria economia del Paese. Peraltro, a fronte dell'aumento della disoccupazione ci sarebbe, persino, una diminuzione del gettito fiscale".
Il 9 ottobre, a Roma, ci sara' un'assemblea nazionale dei laboratoristi italiani per discutere proprio su questo tema, ma soprattutto per manifestare il dissenso. Qual e' il vostro appello alle istituzioni? "Chiediamo- risponde Marino, direttore del gruppo Marilab e delegato di Unindustria Lazio- semplicemente che le tariffe, che devono essere giustamente determinate su base nazionale, vengano applicate da tutti, non solo dal privato ma anche dal pubblico. Insomma, la stessa tariffa deve essere considerata sia per pagare il privato sia per calcolare quelli che sono i costi della sanita' pubblica, che notoriamente sono piu' alti. Queste tariffe devono, inoltre, essere determinate da criteri oggettivi e devono scaturire da uno studio approfondito, che tra l'altro gia' esiste, ma che non e' stato tenuto in considerazione dal decreto ministeriale".
A questo punto? "Serve un tavolo di concertazione in cui si siedano tutte le associazioni rappresentative di categoria per arrivare a quella che puo' e deve essere una tariffa congrua, che preveda la determinazione di tutti i costi e non di una parte sola. Una parte di margine, infine, penso sia giusto rimanga all'imprenditore che fa il proprio mestiere".
(Wel/ Dire)