(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 6 nov. - Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Clinical Genetics e condotto dalle strutture di Psicologia clinica e di Genetica medica dell'Istituto nazionale tumori di Milano ha messo in evidenza che le donne con predisposizione genetica al tumore del seno riducono in modo significativo la percezione del rischio e la paura di ammalarsi se si sottopongono alla chirurgia preventiva.
Il lavoro ha analizzato le conseguenze psicologiche della decisione sulle strategie preventive (controlli periodici oppure chirurgia profilattica) in un campione di 120 donne italiane portatrici di una mutazione dei geni Brca1 e Brca2: geni, la cui alterazione e' correlata al rischio di sviluppare tumore al seno o alle ovaie.
Dall'indagine e' emerso che nel campione analizzato optano per la chirurgia profilattica il 30% delle donne che non hanno mai sviluppato un tumore e il 62% di coloro che invece hanno gia' ricevuto una diagnosi oncologica. I risultati indicano che l'intervento non sembra influenzare la condizione psicologica generale e la qualita' di vita di queste donne ma riduce significativamente la loro paura di potersi ammalare in futuro.
Lo studio ha anche evidenziato un buon livello di soddisfazione espresso dalle donne rispetto alla scelta effettuata (rilevato a 15 mesi dalla diagnosi genetica): sia le donne che hanno optato per la chirurgia profilattica sia quelle che hanno scelto il programma di sorveglianza esprimono una soddisfazione di poco inferiore al 4 su una scala da 1 a 5.
Livelli di soddisfazione leggermente superiori (4.38) sono manifestati dalle donne sane che hanno optato per la chirurgia profilattica.
Marco Pierotti, direttore scientifico dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano commenta: "I risultati dell'indagine hanno mostrato una buona soddisfazione nelle donne osservate, a prescindere dalla decisione che hanno intrapreso. Questo conferma che c'e' stato un buon livello di informazione nel percorso di orientamento alla scelta finale. Uno degli obiettivi dei medici e' affiancare il paziente aiutandolo a prendere una decisione consapevole adatta alle singole esigenze e caratteristiche di ogni persona. Un'ulteriore conferma che i percorsi terapeutici devono essere sempre piu' personalizzati".
Le donne portatrici di mutazione nei geni Brca1 e 2 presentano infatti caratteristiche e problematiche differenti soprattutto in relazione alla loro precedente storia oncologica: le donne che non hanno mai avuto un tumore, sono generalmente piu' giovani con un'eta' media di 39 anni, nel 37% dei casi non hanno ancora avuto figli, l'89% di loro non e' in menopausa. L'85% era gia' a conoscenza di una mutazione nella loro famiglia e per questo motivo hanno ricercato attivamente una strategia per controllare per tempo il loro rischio. Il 70% di queste ha optato per controlli costanti mentre il 30% ha scelto la chirurgia preventiva (tra queste il 15% mammaria, 11% ovarica, 4% entrambe). Questo gruppo di pazienti ha mostrato la necessita' di integrare le scelte preventive con i progetti di vita in fase di sviluppo (matrimonio, maternita', scelte lavorative).
Le donne che hanno gia' sviluppato la malattia in passato hanno invece un'eta' media di 47 anni, l'87% di loro ha avuto 1 o piu' figli e nel 69% dei casi sono gia' in menopausa. Il 90% di loro non era a conoscenza in precedenza della mutazione nella propria famiglia. Hanno scelto la sorveglianza nel 38% dei casi e nel 62% hanno optato per la chirurgia profilattica (10% mammaria controlaterale, 31% ovarica, 21% entrambe). Queste donne, che hanno gia' affrontato l'esperienza della malattia e delle cure, vedono nelle opzioni preventive una possibilita' concreta di evitare di ripetere un'esperienza dolorosa.
"Si tratta di donne che, seppure, accomunate da una mutazione genetica, necessitano di un approccio attento alla loro storia, ai loro bisogni e alle loro aspettative. Per questo motivo e' importante una presa in carico multidisciplinare che accompagni il percorso decisionale e il processo di adattamento anche dopo le scelte preventive", spiega Claudia Borreani, responsabile della struttura semplice di psicologia clinica dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano.
(Wel/ Dire)