RITMI DI LAVORO TROPPO INTENSI E SEPARAZIONE DALLA FAMIGLIA
(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 15 set. - Ritmi di lavoro molto
intensi, separazione dalla famiglia e dai figli, assenza di una
vita privata. Cosi' per i cittadini stranieri e' piu' alto il
rischio di sviluppare distubi psichiatrici, a partire da ansia e
depressione. A rilevarlo e' il Centro di psichiatria
transculturale e della migrazione G. Devereux dell'Universita' di
Bologna, struttura che svolge sia attivita' di ricerca
(coordinata dalla dottoressa Ilaria Tarricone) sia attivita'
clinica (coordinata dal professor Domenico Berardi) nei tre
Centri di salute mentale dell'area Bologna ovest. Nel campione
clinico del centro gli stranieri "rappresentano un quarto delle
persone che manifestano esordi psicotici gravi", spiega la
dottoressa Tarricone, "sono tanti se si considera che nello
stesso territorio la popolazione straniera e' attorno al 9%".
Anche a Bologna si cominciano a registrare i "disturbi
dell'adattamento", come gia' rilevato in Inghilterra, in Olanda e
nei paesi del Nord Europa. "I disturbi piu' frequenti sono ansia
e depressione", continua la coordinatrice, "e sono legati in
particolare ai ritmi di lavoro molto intensi a cui gli stranieri
spesso sono sottoposti e a cui non si sottraggono". A questi si
sommano spesso l'assenza di una vita privata e la separazione
dalla famiglia e dai figli, come nel caso di molte donne dell'Est
Europa arrivate in Italia per lavorare come badanti. Accanto a
questa macro-categoria si trova poi quella dei richiedenti asilo.
"Spesso presentano disturbi psichiatrici gravi dovuti ai traumi
subiti, alla loro storia passata e al fatto di trovarsi
catapultati improvvisamente in un altro paese", spiega Tarricone.
"Il percorso di cura tuttavia puo' essere piu' efficace per i
richiedenti asilo che per gli stranieri lavoratori: in questo
caso intervenire e' piu' difficile, perche' bisogna modificare il
loro stile di vita". In gioco, in altre parole, c'e' il "progetto
migratorio" di queste persone, che spesso fa si' che assumino
carichi di lavoro eccessivi.
Diverso anche il modo in cui si entra in contatto con i servizi
psichiatrici. "E' importante sottolineare che in tutti i casi si
tratta di disturbi sviluppati in seguito al percorso migratorio o
dopo l'arrivo in Italia", spiega la coordinatrice. "Nel caso dei
rifugiati e richiedenti asilo il contatto puo' avvenire molto
presto, perche' gli operatori sono preparati e c'e' una buona
alleanza terapeutica, ma per gli stranieri lavoratori e' piu'
difficile: in media si presentano 7-8 anni dopo l'arrivo in
Italia e spesso passando dalla Medicina generale". Proprio per
accelerare i tempi, il Centro sta lanciando iniziative di
sensibilizzazione e formazione. Oltre a gruppi di
auto-mutuo-aiuto, la piu' recente e' un corso di formazione
ogranizzato insieme alla Fondazione Alma Mater e destinato ai
responsabili delle risorse umane delle aziende.
(Wel/ Dire)