(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 10 ott. - La vita all'interno
di un campo mette a rischio non solo la salute, ma anche la
crescita di un bambino. Lo dice senza mezzi termini il rapporto
di Associazione 21 luglio ed Errc (vedi lancio precedente), nel
quale si avverte di un pericolo serio per l'infanzia rom. Secondo
alcuni studi, infatti, un'alta percentuale di minori che vivono
nei campi "sono inclini a disturbi d'ansia, fobie, disordini del
sonno, disturbi dell'attenzione e iperattivita', ritardi
nell'apprendimento.
Tutti fattori che possono portare, nell'adolescenza o in eta'
adulta, a disordini ben piu' gravi". Dal canto loro, le donne
intervistate riferiscono di condizioni igieniche pessime, di
assenza di spazi personali e di tensioni tra gruppi rom e di
altre nazionalita'. Senza contare che i campi spesso non sono
serviti dai mezzi di trasporto pubblici, rendendo difficile
frequentare la scuola e aggravando la marginalizzazione dei
bambini.
"Le difficolta' nell'ottenere i documenti e la registrazione nei
campi - si aggiunge nel rapporto - ostacolano il diritto
all'istruzione. Inoltre la mancanza di privacy e in generale le
condizioni di vita nel campo creano una barriera alla riuscita
della scolarizzazione".
Una conseguenza di tutta questa precarieta' e' che i minori rom
sono esposti, piu' degli altri, al pericolo di allontanamento dai
propri genitori e di inserimento in istituti monitorati o case
famiglia. I dati attestano che i rom rappresentano circa il 10,4%
di tutti i minori che vivono in queste strutture, anche se la
loro percentuale sul totale della popolazione italiana si ferma
allo 0,23%. Tutto questo e' dovuto all'assenza di una politica
uniforme che definisca quando l'allontanamento e' necessario:
"Una lacuna che permette di fatto comportamenti discriminatori in
relazione alla valutazione dell'adeguatezza della situazione
familiare". Secondo i promotori del rapporto, poi, in queste sedi
i minori non trovano una "preparazione culturale e sociale
adeguata" e si devono scontrare con gli "stereotipi
discriminatori di alcuni operatori, che danneggiano lo sviluppo
dei minori e il loro accesso all'istruzione". Anche per queste
ragioni e' alto il fenomeno delle fughe.
Esiste poi una terza minaccia all'infanzia, passata perlopiu'
sotto silenzio perche' erroneamente ritenuta "parte della cultura
rom". Si tratta dei matrimoni precoci e forzati che, tra le alte
cose, mettono le giovani a rischio di violenze domestiche e
abusi. A questo si accompagna spesso il "test della verginita'":
durante le ricerche condotte dall'Errc nel marzo 2011, il 65%
delle 48 donne intervistate ha riferito di aver subito il test
prima del matrimonio: "Fallirlo - legge nel rapporto - si
comporta il rifiuto da parte del marito e il ritorno alla
famiglia d'origine o trattamenti offensivi simili, come abusi
verbali, infedelta', ostracismo dalla comunita'". Tutte pratiche
che "non solo minacciano la salute e la dignita' delle giovani
donne rom, ma interferiscono con la loro educazione e
successivamente restringono la loro autonomia economica".
(Wel/ Dire)