"NON E' RACCOMANDATA ALCUNA MISURA TERAPEUTICA O PREVENTIVA".
(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 24 mar. - "Alla luce
dell'imminente transito sull'Italia di una nube contente
particelle radioattive scaturita dall'esplosione in Giappone,
vogliamo rassicurare la popolazione che si trova nel nostro Paese
sul fatto che, ad oggi, non esiste alcun rischio di
contaminazione". Lo hanno dichiarato, in una nota congiunta,
l'Associazione medici endocrinologi (Ame), l'Associazione
italiana medicina nucleare (Aimn) e l'Associazione italiana
tiroide (Ait).
"Non e', quindi, raccomandata alcuna misura terapeutica o
preventiva, poiche' il livello di radioattivita' e', infatti,
estremamente basso e non eccede in maniera significativa la
normale esposizione ambientale" si legge nel comunicato.
Tuttavia, alla luce delle continue notizie riguardanti
l'esplosione della centrale nucleare giapponese a Fukushima, le
tre societa' scientifiche ritengono opportuno fare alcune
precisazioni.
"Le categorie maggiormente a rischio sono le donne in
gravidanza e i bambini di eta' inferiore ai 10 anni- spiegano gli
esperti- Per quanto riguarda le donne in stato di gravidanza, il
vero rischio e' a carico del feto, particolarmente sensibile agli
effetti nocivi delle radiazioni. Nel primo trimestre di
gravidanza, durante la formazione degli organi nel prodotto del
concepimento, possono verificarsi malformazioni a vari organi e
apparati. A partire dal secondo trimestre, quando la tiroide e'
gia' formata e funzionante, lo iodio radioattivo eventualmente
assorbito dalla madre si accumula anche nella tiroide del feto.
Questo puo' ridurre la capacita' della tiroide di produrre ormoni
e determinare un quadro di ipotiroidismo congenito. Un'altra
categoria a rischio aumentato- avvertono- sono i pazienti affetti
da insufficienze renale in terapia con dialisi, a causa di una
ridotta capacita' di eliminare le sostanze radioattive
contaminanti e di una maggiore sensibilita' alle radiazioni".
"Nelle persone che si trovano nelle immediate vicinanze di
materiale radioattivo che emette radiazioni con elevata
intensita'- sottolinea la nota- i danni maggiori e piu' precoci
sono al midollo osseo e all'intestino con conseguente
suscettibilita' alle infezioni, possibili emorragie e
malassorbimento del cibo. Questa condizione si chiama sindrome
acuta da radiazioni e si verifica solo per livelli di
radioattivita' molto elevati, non raggiunti nel corso
dell'incidente a Fukushima. Questa minaccia non riguarda,
infatti, la popolazione generale ma solo il personale che si
trova all'interno o nelle immediate vicinanze del reattore al
momento dell'incidente".
Per la popolazione che vive nelle zone limitrofe, o che mangia
alimenti contaminati provenienti dalle zone a rischio, il
pericolo, secondo Ame, Aimn e Ait, "deriva dalla possibile
ingestione con il cibo o inalazione dall'aria di sostanze
disperse in seguito all'incidente. Caratteristico e' stato il
riscontro di latte radioattivo in seguito all'incidente di
Chernobyl come conseguenza dell'erba contaminata mangiata dalle
mucche. Le sostanze rilasciate in seguito all'incidente sono-
riferiscono gli esperti- oltre allo 131I: lo Stronzio-90,
assorbito dall'osso, che puo' causare tumori ossei e leucemia; il
Cesio-137 che si accumula con preferenza nei muscoli; il Plutonio
che e' tossico soprattutto se viene inalato e puo' causare tumori
del polmone".
Per arginare un'eventuale esposizione a sostanze radioattive,
le societa' scientifiche consigliano "la somministrazione di un
eccesso di iodio non radioattivo, sotto forma di ioduro di
potassio (KI)" che "puo' ridurre, fino a bloccare, l'accumulo
dello iodio radioattivo all'interno della tiroide".
Sulle possibili malattie che la popolazione giapponese rischia
di contrarre a livello delle ghiandole endocrine, "l'unica
ghiandola endocrina che corre il rischio di ammalarsi in seguito
alla contaminazione da sostanze radioattive e' la tiroide-
spiegano gli esperti- Tra le sostanze radioattive disperse
nell'ambiente in seguito al danno del reattore di Fukushima, c'e'
lo iodio-131. Lo iodio si accumula nella tiroide e vi rimane per
alcuni giorni- prosegue la nota- La tiroide, pero', non e' in
grado di distinguere lo iodio radioattivo (131I) dallo iodio
normale, non radioattivo. In presenza di elevate concentrazioni
di 131I nei liquidi o nei cibi, questo si accumula nella tiroide
e irradia le cellule di questa ghiandola. L'irraggiamento della
tiroide da parte dello 131I, non necessariamente esita in un
danno clinicamente rilevante. Lo 131I viene impiegato normalmente
in diagnostica per lo studio della funzione tiroidea e non
provoca alcun danno alle bassi dosi somministrate. Il nostro
organismo, infatti, e' dotato da sempre di sistemi per la
riparazione dei danni indotti da basse dosi di radiazioni, a cui
siamo costantemente esposti per la presenza di elementi
radioattivi nel terreno e attraverso l'atmosfera con le
radiazioni cosmiche".
Quando i danni prodotti dalle radiazioni eccedono la capacita'
riparatrice dell'organismo, possono tradursi in un danno
clinicamente rilevante. "La possibilita' che questo avvenga
aumenta con l'aumentare della dose di radiazioni a cui e' esposta
la tiroide- ricordano i medici- Per livelli di radiazioni elevati
(superiori a 100 mSv nell'adulto) la probabilita' di ammalarsi di
tumore della tiroide aumenta in modo significativo. L'esperienza
di Chernobyl- concludono le societa' scientifiche- ci ha
insegnato che i tumori della tiroide indotti dalle radiazioni
compaiono dopo circa 10-20 anni. E' necessaria, pertanto, anche
se limitata alle sole zone esposte alla sorgente radioattiva, la
sorveglianza medica per tutta la vita dei soggetti eventualmente
contaminati".
(WEl/ Dire)