(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 21 mar. - In due casi su tre,
le famiglie che hanno a carico una persona anziana non
autosufficiente provvedono da sole a prestare le cure di cui ha
bisogno. Spesso si tratta di figli che assistono i genitori,
altre volte di mogli con qualche anno in meno che assistono
mariti piu' anziani. Un impegno spesso gravoso, al punto da poter
diventare controproducente tanto per chi offre aiuto che per chi
lo riceve, fino a generare nell'uno e nell'altro sentimenti di
frustrazione e rancore e arrivare, nei casi piu' gravi, fino
all'abuso o al maltrattamento. Il fenomeno e' stato registrato
dalla ricerca "Ferite invisibili. Il mal-trattamento psicologico
nelle relazioni di cura", promossa da Caritas ambrosiana e da
Segesta Spa (azienda specializzata nella gestione di strutture di
ricovero e assistenza per anziani, ndr).
Il lavoro, presentato questa mattina a Milano e pubblicato da
FrancoAngeli, attraverso interviste in profondita' riporta cio'
che accade tra figli e genitori, tra mariti e mogli, quando
sopraggiunge la malattia, la disabilita' psichica e mentale.
Secondo un'indagine dello Studio Gender, l'Italia spende meno
della meta' di quanto fanno in media gli altri paesi europei per
l'assistenza agli anziani (solo 1,3% del Pil), col risultato che
la cura dell'anziano (o del giovane) non piu' autosufficiente
ricade sulle famiglie, in due casi su tre lasciate a loro stesse.
In particolare, nel 77% dei casi sono le donne -figlie, mogli,
nuore- le protagoniste del lavoro di cura. Per esempio a Milano,
ogni 100 donne tra i 25 e i 64 anni, ci sono 85 persone da loro
"dipendenti" di cui ci si deve -e ci si vuole- fare carico: 55
hanno meno di 18 anni (sono quindi i figli) e 30 hanno piu' di 75
anni (i genitori, suoceri, il coniuge stesso).
"Con il termine mal-trattamento che noi non a caso scriviamo con
il trattino -spiega la psicologa Patrizia Taccani, una delle
autrici della ricerca-: abbiamo voluto indicare la caduta
temporanea della capacita' di chi offre aiuto di instaurare una
relazione buona con chi quell'aiuto lo riceve". In questa chiave
il mal-trattamento e' spesso reciproco: "Sono gli anziani e chi
sta loro accanto, spesso i figli, a trattarsi male a vicenda,
senza naturalmente volerlo -prosegue Taccani-. All'origine di
questo black out relazionale ci sono senza dubbio i disturbi
comportamentali dell'anziano quando e' colpito da malattia come
la demenza e l'Alzheimer. Spesso c'e' proprio anche la fatica o
lo stress derivante dal lavoro di cura stesso che, anche quando
si ha a che fare con anziani lucidi, puo' provocare equivoci e
fraintendimenti che generano cortocircuiti emotivi molto negativi
per la relazione".
Per intervenire prima che sia troppo tardi e il mal-trattamento
diventi abuso, secondo Caritas ambrosiana bisognerebbe alleviare
il lavoro di cura non solo potenziando i servizi sociali
esistenti, ma anche offrendo interventi integrativi flessibili
che consentano al caregiver (colui che presta la cura) di
concedersi qualche pausa. Le soluzioni possibili, indicate dalla
ricerca, sono diverse: dal potenziamento dei centri diurni alla
creazione di strutture residenziali temporanee a cui affidare gli
anziani per periodi brevi, dall'apertura di sportelli di
counseling psicologico per familiari e anziani alla promozione di
gruppi di auto-mutuo aiuto fra caregiver. Bisognerebbe, insomma,
pensare a un nuovo modello di assistenza in cui pubblico e
privato possono integrarsi e il volontariato e' chiamato a
giocare un ruolo fondamentale.
"Se continuiamo a ritenere che l'istituzionalizzazione deve
esser l'ultima spiaggia, dobbiamo anche porci il problema della
sostenibilita' della domiciliarita' delle cure -dice il direttore
di Caritas ambrosiana, don Roberto Davanzo-. Una questione cui
oggi hanno messo una pezza le tante assistenti familiari
straniere, le cosiddette badanti, ma che non possiamo considerare
la sola soluzione per un problema cosi' epocale".
(Wel/ Dire)