(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 13 gen. - Ampia
discrezionalita' per i giudici, mancato rapporto tra Tribunale e
amministratori di sostegno soprattutto nei grandi centri urbani,
prevalenza di motivazioni e aspetti meramente patrimoniali, enti
locali senza strumenti attuativi, relazione minima tra
amministratore e reti territoriali di supporto e cura: sono
queste le maggiori criticita' emerse nel corso dell'incontro
dibattito "Amministratore di sostegno: bilanci e prospettive a
sette anni dalla legge" che si e' tenutoieri nella sala Consiglio
della provincia di Roma, promosso e organizzato dall'associazione
per la realizzazione dei diritti costituzionali.
Un confronto dibattito che ha avuto per protagonisti Augusto
Battaglia, responsabile Pd per la non autosufficienza, Chiara
Giammarco, giudice tutelare del tribunale di Roma, e Rossella
Savoia dell'Ufficio tutela Pubblica del comune di Roma. Tanti
anche gli amministratori di sostegno presenti all'iniziativa: dal
pensionato 'che vuole fare volontariato' al medico 'che si mette
a disposizione anche nel tempo libero', fino all'impiegata che
'crede di dover dare una mano'. Tanti anche i familiari di
persone con disabilita', 'preoccupate del funzionamento di uno
strumento utile per il dopo di noi'.
Istituito nel 2004 con la legge 6 del 9 gennaio,
l'amministratore di sostegno e' lo strumento che tutela, con la
minor limitazione possibile della capacita' di agire, le persone
prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle
funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno
temporaneo o permanente. Nominato da un giudice, su proposta
dell'interessato o di un parente prossimo, l'amministratore di
sostegno si e' rivelato nel tempo uno strumento 'meno invasivo'
rispetto all'interdizione e all'inabilitazione, lasciando
comunque alle persone 'amministrate' ampie possibilita' di
autodeterminazione.
Una sfida che andava colta, "considerando il veloce processo di
invecchiamento della popolazione - ha dichiarato Battaglia - e
l'allungamento della vita anche per le persone disabili".
"I migliori risultati - ha continuato Battaglia, citando il caso
di Firenze e il buon esempio della regione Lombardia - si sono
avuti laddove l'amministratore ha interloquito con il territorio
e le rete dei servizi territoriali. L'amministratore deve essere
un nodo di questa rete, non qualcosa di esterno, questo
aiuterebbe le amministrazioni locali anche a scegliere profili
idonei". "Il giudice tutalare, poi - ha aggiunto - ha il potere
di indicare nell'ente locale l'amministrazione locale, ma questi
enti sono spesso soli e non hanno strumenti attuativi: l'esempio
e' il Comune di Roma, dove si fa un bando unico, centrale".
"Il punto nodale - ha poi concluso Chiara Giammarco del Tribunale
di Roma - e' l'ampia discrezionalita' che la legge attribuisce ai
giudici, sospesi tra la volonta' dei promotori della legge, che
intendevano superare l'interdizione, e i giuristi che invece
chiedono di quantificare l'incapacita'. La stessa Cassazione
intervenuta in tema ha stabilito che non esiste un confine
obiettivo ed e' il giudice che, caso per caso, decide per
l'amministrazione di sostegno o l'interdizione. Quello che pero'
dobbiamo evitare e' intendere gli amministratori di sostegno come
angeli custodi: le Istituzioni preposte devono fare la loro
parete. Questo istituto ha un senso se e' parte di un processo di
presa in carico che coinvolge il Tribunale, la Asl, l'ente
locale, i servizi territoriali. Ricordo che dal 2004 a oggi, a
Roma, le domande sono salite da 368 a 1240".
(Wel/ Dire)