DALLA SVIZZERA ALL'ITALIA, INTERVISTA A DANIELE MAGGIORE (SICOP)
(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 8 nov. - Daniele Maggiore,
medico chirurgo presso la clinica Ginevra Permance de Vermont in
Svizzera, e' uno dei molti professionisti che, per scelta o per
obbligo, svolgono la propria attivita' professionale fuori
dall'Italia. Maggiore, dopo quasi vent'anni, torna in Italia in
qualita' di presidente del XII Congresso nazionale della Societa'
italiana di chirurgia dell'ospedalita' privata (Sicop), che si
terra' a Varese dal 28 al 30 aprile 2011, e non puo' fare a meno
di osservare il panorama sanitario italiano, tra vizi e virtu', e
provare a dare una lettura critica, non nascondendo pero' la
voglia di tornare a fare il medico nel suo Paese.
Quando e perche' ha deciso di lavorare all'estero e nello
specifico in Svizzera?
'Il mio iter lavorativo e' consistito nell'aver lavorato da
stagista per 6 mesi in America al Mount Sinai di New York e in
Giappone nei sei mesi seguenti. In seguito, dopo la laurea
conseguita a Roma, ho vinto una borsa di studio del CNR per uno
studio all'estero e sono andato a eseguire degli studi chirurgici
a Basilea, in Svizzera, dove poi mi hanno fatto la proposta di
rimanere per fare alcuni studi e lavorare nei vari ospedali del
Paese. Ai tempi non vi era ancora il riconoscimento tra Italia e
Svizzera, e ho dovuto rifare gli esami per la laurea svizzera,
come anche la specializzazione, per continuare la mia attivita'
di chirurgo'.
Quali sono le differenze piu' significative che ha riscontrato
tra il modo di fare il medico in Italia e farlo in Svizzera?
'Il mondo della sanita' svizzero e' completamente diverso da
quello italiano. Fa riferimento principalmente al mondo sanitario
americano, sia come gestione che come approccio lavorativo. Il
lavoro in Svizzera per me e' stato caratterizzato da un cambio
importante di mentalita', senza il quale non avrei potuto
stabilire la mia attivita' di chirurgo. Innanzitutto, prima di
essere un chirurgo si e' dei medici, e quindi bisogna saper
trattare ed essere preparati in tutti i campi dello scibile
medico-chirurgico. Non solo. Un altro cambio di mentalita' e'
stato proprio nel rapporto con i pazienti, dove il rapporto
empatico con essi viene messo in primo piano. Il rapporto dei
medici svizzeri con i pazienti consiste in un rapporto di
qualita': ripeto, una svolta rispetto all'Italia. Emblematico
puo' essere il chirurgo svizzero che spiega al paziente il tipo
di intervento, e il paziente stesso sceglie, dopo una spiegazione
accurata delle varie possibilita', quale tipo di intervento il
chirurgo deve eseguire, e cosi in altre problematiche che si
possono avere con i pazienti. Non solo. La modalita' di
inquadramento delle patologie del paziente e' abbastanza
differente. In Svizzera esiste un approccio multidisciplinare,
mentre invece so che in Italia l'approccio e' ancora da parte
solo del professionista che deve trattare un certo tipo di
patologia. Per capirci: un paziente con un qualsiasi tipo di
patologia viene trattato da un gruppo di medici tra cui il
chirurgo, l'internista, il medico di famiglia, e tutti quegli
attori che sono importanti per trattare in maniera completa quel
determinato tipo di malattia. So che in Italia si sta cambiando
atteggiamento, ma solo in alcune realta' piu' virtuose e,
soprattutto, non in tutta Italia'.
Attualmente i problemi del sistema sanitario italiano potrebbero
essere in qualche modo risolti mutuando modalita' estere? Se si',
quali in particolare?
'Sicuramente. La Svizzera, come anche gli Stati Uniti, attuano
una forma di federalismo. Essi sono costituiti da una serie di
Stati all'interno dello Stato confederativo. Negli Usa abbiamo
una Confederazione di Stati, in Svizzera abbiamo 26 cantoni che
sono un piccolo Stato nel grande Stato. Lo Stato generale
legifera e da' le coordinate ai Cantoni, e i Cantoni attuano le
leggi adeguandole al proprio stato. Cosi esiste un federalismo
sanitario dove ogni Cantone ha la sua specificita', la sua
economia, il suo modo di gestire l'amministrazione sanitaria. Una
parte della spesa viene assorbita dallo Stato mentre una restante
parte viene sovvenzionata dal sistema delle assicurazioni
malattia. L'Italia, lo sappiamo tutti e' dichiarato dall'Oms,
sotto una determinata visuale, ha uno dei migliori sistemi
sanitari al mondo. Infatti, secondo una ricerca dell'Oms
risalente al 2000, l'Italia e' stato il secondo sistema sanitario
migliore del mondo in termini di efficienza di spesa e accesso
alle cure pubbliche per i cittadini, dopo la Francia. Cio'
significa che l'Italia ha una serie di professionisti che
lavorano bene, trattano tutti, senza esclusione di razza,
religione o provenienza, con competenza ed economicita'. Il
problema e soprattutto nell'ottica di cio' che si potrebbe
mutuare da altre esperienze, e' l'interconnessione con il sistema
Stato. Il Federalismo sanitario, differentemente da cio' che si
puo' pensare, non divide ma unisce. Ogni Regione, deve avere un
proprio sistema a cui fare riferimento, secondo la cultura di
quella Regione, secondo la propria modalita' di amministrare, di
scientificita', di appropriatezza delle cure ed economicita'
locale. Chiaramente ogni Regione, deve integrarsi all'interno
dello Stato e delle direttive che lo Stato centrale promulga.
Sembra abbastanza semplicistica come risoluzione, ma a mio modo
di vedere, soprattutto avendo provato cosa sia il Federalismo
sanitario, penso che sia veramente l'unica modalita' per
togliersi da un pantano come e' quello italiano, soprattutto dal
punto di vista economico'.
Per un professionista che come Lei ha lavorato per tanti anni
all'estero, tornando in Italia cosa ha trovato?
'Dopo venti anni il Paese e' notevolmente cambiato in tutte le
sue sfaccettature, dalla politica all'economia, dal modo di fare
imprenditoria al buon senso: tutti mondi che si intersecano con
il mondo sanitario. In ambito sanitario e' cambiato tanto: dopo
la trasformazione attuata in primis dalla Regione Lombardia con
l'accreditamento dei privati, si e' dato al privato il compito
che dovrebbe essere piu' virtuoso nel saper gestire la sanita',
un compito importante, cioe' quello di saper risanare il debito
(e mi sembra che in qualche regione, anche di opposte fazioni
politiche, ci si stia riuscendo), come anche c'e' una maggior
attenzione ai costi in sanita', e soprattutto un'attenzione al
troppo clientelismo che c'e' stato in ambito di Prima Repubblica
sia in ambito Universitario che in ambito ospedaliero. Tutto
sommato una impressione positiva. L'unico punto a sfavore che ho
trovato e' nella troppa politicizzazione della sanita', dove
qualsiasi decisione strutturale, o gestionale viene notevolmente
influenzata da tutta una serie di 'amicizie' o 'militanze' in un
determinato partito politico o altro. Questo deteriora la sanita'
e non la rende virtuosa. Potrebbe esserlo e lo sara' solo quando
la politica si fara' da parte ed i professionisti verranno scelti
solo in base alla loro comprovata bravura, sia in ambito
gestionale che professionale'.
Ritornerebbe a fare il suo lavoro in pianta stabile nel nostro
Paese?
'Ritornerei, certo. Per un emigrato come me, anche se di
eccellenza, il ritorno alle origini e' di una importanza
fondamentale. Chi vive in Italia, non lo puo' comprendere. Questo
puo' essere compreso solo da chi ha vissuto all'estero, per un
determinato periodo. E cio' che dispiace e' che, dopo anni di
lavoro passati all'estero, si e' estranei in terra straniera come
si diventa estranei nel proprio Paese che cambia e che quindi non
riconosciamo piu''.
Lavorando in Svizzera ha mai applicato la medicina difensiva,
largamente usata da molti medici italiani proprio per proteggersi
dalle accuse di errore medico?
'Certo, anch'io ho attuato ed attuo alcune volte la medicina
difensiva. Purtroppo essa e' una piaga presente in tutto il
mondo. Da quando il mondo sanitario e' stato investito di
responsabilita' che vanno oltre la propria competenza con questa
aggressivita' da parte del sistema giudiziario, e' d'uopo attuare
la medicina difensiva. Peraltro il limite tra medicina
appropriata ed economica e' abbastanza miscelato ai limiti della
medicina difensiva, quindi essa non e' mai cosi facilmente
visibile. E' chiaro che in tutti i Paesi civilizzati, vengano
fuori queste distorsioni e quindi in Svizzera, come soprattutto
in USA, si vive questo rapporto malsano con i propri atti
sanitari che si compiono nella propria attivita' quotidiana
lavorativa. Vedendo pero' la situazione in proiezione futura, non
mi preoccupa piu' di tanto, poiche' nel corso del tempo, quando i
pazienti capiranno che il corpo umano (purtroppo o per fortuna)
non e' matematica, e che ad una azione non risponde sempre la
stessa reazione, e quindi arriveranno a capire che ogni azione
sanitaria puo' purtroppo avere dei problemi come anche nella
maggior parte dei casi essere risolutiva; allora vedrete che la
medicina difensiva non avra' piu' ragione di esistere. E' chiaro
in tutti i casi che l'imperizia, l'imprudenza, la negligenza di
un sanitario deve essere trattata senza dubbio per via
giudiziaria e giudicata. Questo non significa che ogni collega
debba vivere, se ogni terapia viene effettuata secondo coscienza,
scientificita', in una medicina di evidenza, con un'angoscia che
poi sfoci nella medicina difensiva'.
Rimanendo in tema di errore medico, per ridurlo e' necessario un
percorso basato sul risk managemet piuttosto che su sistemi di
ceck list oppure occorre una svolta culturale?
'La prevenzione dell'errore medico, e io direi sanitario piu' che
medico, secondo me ha sua valenza nel percorso basato sul risk
management, dovendo pero' comprendere che alla base deve esserci
un cambio di mentalita', un cambio di cultura che deve essere
atto a prevenire. La prevenzione e' l'arma vincente, sia in
medicina clinica che in ambito gestionale. Solo avendo una
mentalita' preventiva, e quindi pensando banalmente e prevenendo,
si puo' arrivare ad una attuazione del risk management che porta
ad una risoluzione dei problemi e degli incidenti sanitari'.
(Wel/ Dire)