(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 11 mag. - Da anni sono indicati
come soggetti fortunati e un po' particolari. Si tratta delle
persone che risultano immuni all'Aids, una piccola percentuale di
soggetti che, sebbene affette da Hiv, non arrivano mai allo
stadio di conclamazione della malattia. Ora una ricerca americana
frutto della collaborazione fra il Massachusetts Institute of
Technology di Boston e l'Universita' di Harvard ha deciso di
indagarne le ragioni, realizzando un modello computerizzato che
pare aver risolto un mistero duraturo nella comunita' scientifica
internazionale.
Secondo i ricercatori statunitensi, per spiegare il fenomeno
bisogna far riferimento ai linfociti T - cellule che hanno il
compito di reagire all'aggressione del virus -, che nei soggetti
resistenti all'Aids appaiono piu' forti e attivi rispetto a
quelli degli altri. Lo studio e' stato pubblicato su Nature e si
basa su due considerazioni, la prima delle quali riguarda la
presenza di una variante del gene HLA B57 presente in circa lo
0,5 per cento dei pazienti. Le stesse persone mostrano inoltre
una probabilita' maggiore di sviluppare malattie autoimmuni,
ovvero quelle patologie in cui il sistema immunitario aggredisce
per errore l'organismo del paziente.
Stando al modello computerizzato, i linfociti T prodotti nel
timo dei pazienti con la suddetta variante genetica hanno
un'attivita' potenziata rispetto al normale, il che gli consente
di riconoscere il virus Hiv anche quando lo stesso muta dando
vita alla malattia. Cio' spiega, d'altro canto, anche le maggiori
probabilita' degli stessi pazienti di sviluppare una malattia
autoimmune.
La scoperta appare molto importante perche' potrebbe
rappresentare una buona base di partenza per la messa a punto di
nuovi vaccini, in grado di potenziare i linfociti T anche nelle
persone che non mostrano varianti genetiche, e senza l'aspetto
negativo legato allo sviluppo di patologie autoimmuni.
(Wel/ Dire)