(DIRE - Notiziario Sanita') Roma, 13 lug. - Una nuova ricerca ha
indagato la diffusa convinzione che il livello di reddito
influisca sulla diffusione dell'Hiv, scoprendo che ne' la
ricchezza ne' la poverta' sono indicatori affidabili in relazione
alla diffusione dell'Hiv in Africa. In precedenza, l'idea che la
poverta' fosse una delle cause dell'epidemia di Hiv era sostenuta
dalla Banca Mondiale e da Unaids, cosi' come da autorita' meno
affidabili quali l'ex presidente sudafricano Thabo Mbeki, che
dichiaro' alla Conferenza Internazionale sull'Aids a Durban nel
2000 che la malattia si accompagnava a "poverta', sofferenza,
svantaggio sociale e diseguaglianza".
Una ricerca piu' recente suggerisce che la realta' e' molto piu'
complessa. Ad esempio, il Botswana ed il Sud Africa, considerate
due delle nazioni piu' ricche del continente, posseggono un tasso
di infezioni da Hiv fra i piu' alti dell'Africa. Secondo Justin
Parkhurst della Scuola di Igiene e Medicina Tropicale di Londra
tuttavia, l'idea che la poverta' alimenti la diffusione dell'Hiv
e' "ancora dominante".
Parkhurst ha analizzato e comparato i dati sull'Hiv e la
ricchezza di rilevamenti demografici e sulla salute in 12 nazioni
con epidemie generalizzate dell'Africa sub-Sahariana (tassi di
diffusione nazionale piu' alti dell'1%); i suoi risultati sono
pubblicati nel numero di luglio del Bollettino del'Organizzazione
Mondiale per la Sanita'. Parkhurst ha osservato che nelle nazioni
con reddito piu' basso la diffusione dell'Hiv tendeva ad
aumentare con la ricchezza - in Uganda e Costa D'Avorio ad
esempio, le donne nel piu' alto scaglione di reddito presentavano
la piu' alta diffusione di Hiv. In nazioni con un prodotto
interno lordo pro capite di piu' di 2 mila dollari statunitensi,
la correlazione fra ricchezza e diffusione era meno chiara.
Parkhurst ha anche scoperto che la relazione fra ricchezza e Hiv
cambiava nel corso del tempo. Un'indagine e' stata condotta in
Tanzania nel 2003 ed un'altra nel 2008; nei cinque anni
intermedi, la diffusione di Hiv e' diminuita fra le donne nello
scaglione di reddito piu' alto ed e' aumentata fra quelle nei
gruppi a basso reddito. Fra gli uomini, la diffusione e' rimasta
la stessa nei gruppi piu' poveri ma e' diminuita in tutti gli
altri gruppi, con la diminuzione piu' grande nei gruppi con piu'
alto reddito. "L'Hiv si diffonde attraverso i comportamenti
sessuali, che sono comportamenti sociali che cambiano nel corso
del tempo e dipendono da influenze esterne," ha affermato
Parkhurst. Ha paragonato il modo in cui l'Hiv colpiva i
differenti gruppi sociali al modo in cui l'uso del tabacco e'
l'obesita' un tempo colpivano soprattutto i ricchi, ma sono ora
fra i maggiori problemi dei poveri.
Le persone piu' ricche spesso difficilmente venivano colpite
presto durante una epidemia di Hiv, probabilmente a causa delle
loro piu' ampie reti sociali e sessuali. "Nel tempo, i ricchi
tendono ad essere piu' educati [sui rischi dell'Hiv] e piu'
propensi a considerare la loro salute futura," ha detto Parkhurst.
Queste tendenze tuttavia non sono affatto universali e
l'andamento della diffusione differisce per donne e uomini. In
Swaziland ad esempio, che ha la piu' alta diffusione di Hiv fra
tutte le nazioni, Parkhurst ha rilevato che c'erano poche prove
di una correlazione fra la ricchezza del nucleo familiare e la
diffusione individuale. I risultati di Parkhurst comportano
implicazioni per le campagne di prevenzione "universali" che non
tengono in considerazione i modi complessi e mutevoli con cui
ricchezza, livello di educazione e genere possono influenzare i
comportamenti a rischio. "Dobbiamo educare la gente [riguardo
all'Hiv] in maniera rilevante al contesto," ha detto. "Si tratta
di permettere agli attori locali di capire cosa succede per
lavorare al meglio. Se cerchiamo di trovare una soluzione da
Londra... e' improbabile che possa funzionare".
Parkhurst ha affermato che iniziative di prevenzione dell'Hiv
"dal basso" che mirino a colpire specifici stili di vita e
comportamenti a rischio di una comunita' hanno piu' probabilita'
di funzionare. Questo approccio si sta gia' diffondendo, con
Unaids che esorta i vari paesi a "conoscere l'epidemia" e
progettare programmi di prevenzione ad hoc. "I professionisti
della salute sanno che devono diagnosticare un problema prima che
possano curarlo," ha detto. "Credo che la comunita'
internazionale stia cominciando a riconoscere l'importanza di
affrontare i fattori che sono cause strutturali dell'Hiv, non
solo in maniera ampia, ma guardando alle specificita' delle
singole comunita'".
(Wel/ Dire)