Lo apre la riflessione sul Coronavirus nel collettivo di Magda Di Renzo
(DIRE - Notiziario settimanale Psicologia) Roma, 5 mag. - È online il numero monografico di Babele 'Psiche e Covid-19' con oltre 40 riflessioni analitiche e attivita' terapeutica ai tempi della quarantena. La rivista bimestrale si apre con un approfondimento della psicoanalista Magda Di Renzo sul tema 'Il coronavirus nel nostro collettivo': "Il primo pensiero che mi sono trovata a fare al cospetto di questo momento cosi' inquietante e' stato: 'È mai possibile che un pipistrello, ospite serbatoio di un virus proveniente dall'Oriente, sia riuscito a sgomentare la scientificita' dell'Occidente? Noi, che possiamo decidere anche il colore degli occhi dei bambini da costruire in provetta, non riusciamo a combattere un virus che viene dallo sporco? È una beffa dell'inconscio!'. È come se, rispetto alla fantasia inerente la pensabilita' di un controllo totale sulla realta', l'inconscio collettivo fosse insorto per compensare l'atteggiamento unilaterale della scienza-coscienza, chiedendo una stasi, un blocco della direzione troppo sagittale dell'iper-efficienza e avesse proposto un'esperienza di umilta' nei confronti della conoscenza. Un nemico invisibile, proveniente proprio dai luoghi in cui il sole sorge, ha costellato il buio, l'Ombra, ha attivato angosce, ha costretto alla reclusione, ha globalizzato l'annichilimento e ha ridotto alla puerilita' le formule della medicina vigente. Non mi riferisco, naturalmente, ai medici reali che hanno persino messo in gioco la propria vita per salvare, eticamente, quella degli altri e che hanno tentato ogni strada per mettere a tacere i terribili sintomi determinati dal virus- continua la psicoanalista- ne' a tutti gli scienziati che, in questo periodo, hanno dato il meglio per utilizzare le conoscenze in loro possesso. La loro impresa e' stata semplicemente eroica, perche' hanno dovuto affrontare un nemico non aggredibile a causa della sua invisibilita' con mezzi che, proprio per questo, non potevano essere adeguatamente indirizzati e, quindi, hanno dovuto vivere tutta l'angoscia del non sapere prontamente cosa fare".
La riflessione di Di Renzo riguarda, in senso piu' ampio, "il trend culturale che costella il nostro collettivo, quello che non lascia spazio al dubbio, all'alterita', che e' sempre propenso ad abbattere la diversita' per paura di esserne contaminato, quello che favorisce l'eliminazione dei sintomi, costi quel che costi, senza interrogarsi sui suoi significati, quello che oltraggia la Natura solo a vantaggio del proprio narcisismo o dell'egemonico interesse economico, senza rispettarne le leggi intrinseche, quello che non riesce piu' a rispettare sogni e desideri, che non sa piu' accogliere il divino nell'umano, che non conosce piu' il sapore delle mediazioni, la gioia della curiosita' e il dolore della rinuncia, che non sa accettare l'indecifrabilita' dell'attesa, che non sa confrontarsi con la vergogna e ridicolizza chi la prova, che riduce la sensibilita' a vulnerabilita' e, quest'ultima, a dimensione patologica, che ha dimenticato il valore della gratitudine, preso com'e' a promuovere competizione e invidia e che, con la sua hybris, pensa di poter dominare tutto cio' con cui si interfaccia". Secondo la psicoterapeuta "abbiamo bisogno di stagioni che segnino il tempo, abbiamo bisogno di includere la morte nella visione della vita e non come conseguenza di fallimenti o di sciagurate scelte politiche, abbiamo bisogno, fondamentalmente, di umilta' e di sacro rispetto per cio' che ci trascende".
È a questo collettivo che, enantiodromicamente, "l'inconscio ha inviato un messaggio invisibile dall'Oriente! Un virus con la Corona che, con la sua malvagia regalita', opera sterminio in modo indiscriminato, non risparmiando etnie di nessun tipo ne' ranghi sociali, andando oltre le barriere dello spazio e del tempo e che, con la sua indeterminatezza ha lasciato senza pensabilita' anche le menti piu' illuminate. Non e' venuto dai luoghi del Nord o del Sud della Terra (Dio solo sa cosa ne sarebbe derivato!) con il loro eccesso di calore e di gelo, ma dal luogo delle origini in senso simbolico e dal posto che meglio rappresenta, nell'attualita', il sito del progresso tecnologico e dell'avanzata economica. Il coronavirus ha colpito al cuore la societa' occidentale- prosegue la responsabile del servizio terapie dell'IdO- ha imposto la sua resa, ha decretato il suo arresto. È arrivato inaspettato, anche se menti profetiche l'avevano presagito, e' arrivato non chiamato e, almeno inizialmente, e' stato sottovalutato, considerato plebeo e non regale e ha costretto tutto il pianeta a flettersi su se stesso. Non sono bastati, evidentemente, il disgelo dei ghiacciai, la sparizione di migliaia di alberi in Amazzonia, le innumerevoli morti per disastri creati dall'uomo all'ambiente, non sono stati sufficienti le tonnellate di plastica che si sono ormai impossessate dei nostri fondi oceanici ne' le migliaia di morti per conflitti di supremazia, non sono stati accolti gli innumerevoli appelli a un ridimensionamento delle nostre condizioni di vita. È stata necessaria una contrapposizione, una sferzata violenta perche' i nostri paradigmi potessero iniziare a vacillare e perche' i morti potessero essere realmente riconosciuti come vittime di uno sterminio. I morti attuali, infatti, non sono il risultato di strategie umane e/o disumane volte alla supremazia di una parte sull'altra, ma sono il risultato di un fallimento nella cura, di un'incapacita' collettiva nel far fronte all'inquietante, al non conosciuto e al non immaginabile. Per una volta non c'e' corsa al potere (anche se inevitabilmente qualcuno ci prova!), ma solo possibilita' di lottare insieme, perche' la pandemia corre velocemente su tutto il mondo, diffonde l'agente patogeno altamente virulento, approfittando della mancanza di immunizzazione degli individui e si insinua negli interstizi delle possibili strategie per combatterla. Abbiamo bisogno di nuove pensabilita'- sototlinea la studiosa- di atteggiamenti meno contrapposti, di una visione che includa Oriente e Occidente (il sorgere e il calare del sole) in una naturale successione di accadimenti fisici e psichici, abbiamo bisogno di stagioni che segnino il tempo, abbiamo bisogno di includere la morte nella visione della vita e non come conseguenza di fallimenti o di sciagurate scelte politiche, abbiamo bisogno, fondamentalmente di umilta' e di sacro rispetto per cio' che ci trascende.
'Nel confronto con le tenebre', dice Jung, 'per non finire sbranati dal demonio, bisogna aggrapparsi al bene. Quando ci troviamo faccia a faccia con il Male, abbiamo bisogno di tutta la nostra bonta' per non lasciare che la luce si spenga e l'oscurita' prevalga. È a questo punto che la nostra candela ci torna utile' (1953). È quella candela che ha permesso ai tanti medici in prima linea di essere presenti alla loro missione senza recriminazioni sindacali e dando fondo a tutta la propria resilienza e che ha attivato la Protezione civile (in senso reale e simbolico) per garantire il migliore svolgimento delle operazioni in corso? Non solo conoscenza- chiarisce Di Renzo- ma cura nel senso piu' nobile del termine, passione per cio' che si fa e non solo dimostrazioni di competenze, unione profonda di conoscenza e umanita'. Valori che abbiamo smesso di trasmettere alle generazioni future convinti che la sola conoscenza potesse davvero dominare il mondo e che la scienza, anche quella basata sulle evidenze di base, potesse fare a meno del dubbio e del mistero".
Una candela come simbolo di "luce interiore, di vocazione (parola tragicamente desueta nel nostro collettivo), di speranza, come dono votivo che ricorda la transitorieta' dell'umano, come faro per progettualita' desiderate, come sostegno alla nostra paura del buio, come ringraziamento per essere in un mondo che ci include", conclude Di Renzo.
( / Dire)