Roma, 5 nov. - "Abbiamo cercato di raccontare il tempo vuoto, che se non arginato logora all'interno e rende complesso pensare al futuro, al reinserimento. Mettersi gli abiti di un altro, in questo caso addirittura delle divise, ha aiutato i ragazzi a pensarsi diversamente, a immaginare un futuro differente". Esordisce cosi' Ludovica Ando', regista del film 'Fortezza' intervistata dall'agenzia Dire. La storia del film e' una libera interpretazione del 'Deserto dei Tartari' di Dino Buzzati. È interamente girata nella Casa di Reclusione di Civitavecchia e i detenuti, in veste di attori, interpretano i panni degli ufficiali guardiani di un fortino del 1860.
L'obiettivo e' stato "raccontare la reclusione come concetto umano, non soltanto come un'area dove vivono i detenuti.
Raccontare il tempo e lo spazio dei dialoghi, lo spazio del silenzio, come quello del vuoto". Narrare la reclusione "senza vedere il carcere". Raccontarla come la sensazione "di chi vive escluso, di chi e' lontano dagli affetti, di chi puo' avere una malattia mentale. Volevamo rivelare il carcere diversamente, in mille altre maniere", continua la regista.
'Fortezza' e' attesa di qualcosa che tarda ad arrivare e magari non giunge mai. È l'insieme di sensazioni, parole, silenzi e consigli degli ufficiali piu' anziani, che ormai a quel fortino sperduto, lontano da tutto, sospeso nel tempo, si sono abituati e non lo abbandoneranno. Ma e' anche aspirazioni e sogni di giovani luogotenenti che, come in un rito di passaggio, attendono di completare quella 'gavetta' necessaria che, se non prendono coraggio, potrebbe trasformarsi in esistenza vera e propria. E cosi' come in un circolo vizioso.
La pellicola nasce come spettacolo teatrale, presentato al Teatro Palladium di Roma a novembre 2017, e diventa un film grazie alla collaborazione di Emiliano Aiello, coregista, che aggiunge all'agenzia Dire: "Abbiamo voluto raccontare la condizione carceraria attraverso le persone, le storie, nonostante il film sia finzione pura. Abbiamo ritenuto che il racconto potesse vivere per immagini, luoghi, metafore, per non descrivere la detenzione sempre allo stesso modo. Il detenuto dietro le sbarre, vestito in tuta" non interessava.
A casa si portano tante diverse sensazioni. Dalle interpretazioni e i monologhi scritti dai detenuti o ex-detenuti, "alla voglia di tornare dentro la Casa di Reclusione", aggiunge Aiello. Perche' a fine riprese "abbiamo lasciato un vuoto che le attivita' culturali riescono a riempire. Perche' la sicurezza si scrive con la cultura", chiosa Ando'.
Il film e' stata presentato al Maxxi, inserito tra gli eventi della Festa del cinema di Roma nella sezione Festa per il sociale e per l'ambiente.
(Wel/ Dire)