All'IX convegno spdc no restraint di servizi psichiatrici
Roma, 30 ott. - Si sono incontrati a Ravenna gli Spdc no restraint, i servizi psichiatrici di diagnosi e cura che stanno cercando di non usare piu' la contenzione. Alcuni ci sono riusciti, come quello di Ravenna dove ogni anno vengono ricoverati circa 450 pazienti e il numero delle contenzioni e' stato gradualmente ridotto, passando dalle 150 del 2.000 alle tre del 2016, mentre ad agosto 2018 e' stata eseguita quella che ad oggi e' stata l'ultima.
L'XI convegno nazionale Spdc no restraint, rivolto a psichiatri, psicologi, infermieri, educatori e' stato un'occasione di confronto sugli aspetti giuridici e normativi della contenzione meccanica, e di confronto tra diversi spdc (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) nazionali rispetto agli aspetti strutturali, organizzativi e tecnici alla base del superamento della contenzione.
"La contenzione meccanica e' la pratica del legare la persona in cura nei servizi sanitari e socio sanitari, per impedire, in maniera totale o parziale, i suoi movimenti volontari, attraverso l'utilizzo di mezzi meccanici quali lacci, fascette, cinghie, polsini, corpetti, bretelle, tavolini servitori", si legge sul sito, "... e tu slegalo subito". La campagna nazionale per l'abolizione della contenzione in psichiatria, e' nata nel 2016 e che a oggi ha avuto piu' di 1.200 adesioni individuali e di 50 associazioni. "Hanno aderito anche diversi ordini professionali, per esempio quello degli infermieri di Milano, Lodi, Monza e Brianza, quello di Firenze, quello di Grosseto, l'ordine degli psicologi del Friuli Venezia Giulia, l'associazione nazionale dei fisioterapisti", cita a memoria Giovanna Del Giudice, psichiatra, presidente dell'associazione Conferenza Basaglia e nel comitato nazionale della campagna, oggi intervenuta al convegno di Ravenna.
"La campagna si propone anche il superamento nei luoghi della cura di tutte le pratiche di limitazione delle liberta' individuali- precisa Del Giudice- e vuole informare e sensibilizzare la comunita' sull'uso di questi strumenti in un momento di particolare fragilita' della persona, quando avrebbe piu' bisogno della cura. Vogliamo sostenere le persone che hanno subito contenzione e vogliono denunciarlo e allo stesso tempo gli operatori che, pur lavorando in luoghi dove si utilizza la contenzione, vogliono fare disubbidienza civile e non usarla", prosegue la psichiatra, che, da dirigente del Dipartimento di salute mentale dell'Asl di Cagliari, nel 2006 si trovo' ad affrontare dalla parte delle istituzioni il caso di Giuseppe Casu, un venditore ambulante morto legato al letto alle braccia e alle gambe per sette giorni.
"I casi delle morti di persone contenute che sono arrivati all'opinione pubblica, da quello di Casu, in cui si ando' oltre l'omerta' e il silenzio delle istituzioni che invece affrontarono quella morte, all'ultimo, avvenuto a Sassari, dove un trentenne e' morto nel reparto di psichiatria, hanno fatto conoscere alla popolazione che ancora esistono pratiche manicomiali nella nostra Italia, dove abbiamo una delle migliori leggi [la 180 del 1978, chiamata Basaglia, di cui ricorre il quarantennale, ndr] che ci permetterebbe di fare la migliore psichiatria possibile, mentre si muore ancora di psichiatria".
Le pratiche di contenzione sono usate, per esempio, anche nelle case di cura per anziani, pubbliche e private, e la campagna vuole sostenere anche gli operatori che in queste strutture si rifiutano di impiegarla. "Non abbiamo dati, ma ci sono persone che nei servizi psichiatrici o nelle strutture per anziani, slegano i pazienti o scelgono di non legarli, anche quando sono ricoverati in crisi. Sono operatori e infermieri, nel loro codice deontologico si parla di obiezione".
Del Giudice ricorda l'intervento del Comitato di bioetica nazionale nel 2015, "ha permesso di far uscire il tema dagli specialismi", spiega. "Siamo soddisfatti del lavoro di trasformazione culturale fatto in questi due anni, meno per le risposte delle istituzioni e della politica. E' difficile trovare alleanze e interlocutori, per noi il punto di riferimento e' la Conferenza delle regioni- chiarisce- non possiamo dire che sia disattenta, forse in ritardo su alcuni aspetti, e pero' non riusciamo a lavorare con loro in maniera coordinata e precisa, come e' avvenuto, la scorsa legislatura, con la commissione Sanita' del Senato per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, portato avanti dal cartello Stop opg".
Il convegno e' una rappresentazione "di queste difficolta'- aggiunge- alcune ragioni stanno cercando di azzerare le contenzioni. L'Emilia-Romagna, per esempio, partiva da 400 contenzioni all'anno negli anni 2000, nel 2017 le ha ridotte del 67% e ci sono tre Spdc senza contenzione. Questo significa che si puo' fare e ci obbliga tutti a metterci nelle condizioni di farlo: e' un obiettivo che dovrebbe essere raggiunto in poco tempo per uno stato civile e democratico come l'Italia, insieme a quello di limitare tutte le altre pratiche di violazione dei diritti umani, come le perquisizioni a cui i malati e i loro familiari a volte vengono sottoposti nei servizi psichiatrici, il sequestro di oggetti della vita quotidiana come soldi e telefono, la porta chiusa...".
Il Consiglio delle Nazioni unite sui diritti umani condanna in un rapporto del 2018 i trattamenti psichiatrici coercitivi, equiparandoli alla tortura, incluso l'elettroshock, e chiede di abolire tutte le leggi che autorizzano questo tipo di pratiche nel campo della salute mentale. "Dobbiamo partire da li' per continuare a lavorare con forza contro queste pratiche", conclude Del Giudice.
(Wel/ Dire)